Canto XXIII Inferno- (vv 73-108) – I frati gaudenti: Catalano e Loderingo

Testo e commento del Canto XXIII dell’Inferno (versi 73-108)-I frati gaudenti: Catalano e Loderingo

Per ch’io al duca mio: "Fa che tu trovi
alcun ch’al fatto o al nome si conosca,
e li occhi, sì andando, intorno movi". 75

E un che ’ntese la parola tosca,
di retro a noi gridò: "Tenete i piedi,
voi che correte sì per l’aura fosca! 78

Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi".
Onde ’l duca si volse e disse: "Aspetta,
e poi secondo il suo passo procedi". 81

Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
de l’animo, col viso, d’esser meco;
ma tardavali ’l carco e la via stretta. 84

Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco
mi rimiraron sanza far parola;
poi si volsero in sé, e dicean seco: 87

"Costui par vivo a l’atto de la gola;
e s’e’ son morti, per qual privilegio
vanno scoperti de la grave stola?". 90

Poi disser me: "O Tosco, ch’al collegio
de l’ipocriti tristi se’ venuto,
dir chi tu se’ non avere in dispregio". 93

E io a loro: "I’ fui nato e cresciuto
sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa,
e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto. 96

Ma voi chi siete, a cui tanto distilla
quant’i’ veggio dolor giù per le guance?
e che pena è in voi che sì sfavilla?". 99

E l’un rispuose a me: "Le cappe rance
son di piombo sì grosse, che li pesi
fan così cigolar le lor bilance. 102

Frati godenti fummo, e bolognesi;
io Catalano e questi Loderingo
nomati, e da tua terra insieme presi 105

come suole esser tolto un uom solingo,
per conservar sua pace; e fummo tali,
ch’ancor si pare intorno dal Gardingo". 108



A questo punto Dante manifesta a Virgilio la volontà di parlare con qualcuno, riconoscendo magari qualche dannato, ma le sue sole parole bastano perché gli si rivolga uno che intende la lingua “tosca”. Dante vede allora poco dietro di sé due che sembrano volersi affrettare nell’animo (con il corpo per essi è infatti impossibile) e che quando lo raggiungono lo fissano in silenzio. Parlando tra di sé poi notano come Dante sia vivo perché si move la sua gola, cioè respira, e gli chiedono chi sia. Dante, che non cita mai il suo nome, risponde brevemente: “I’ fui nato e cresciuto / sovra ‘l bel fiume d’Arno a la gran villa” (vv. 94-95). Dopo aver chiesto chi sono i dannati e quale sia la pena che dal dolore li fa rigare tutte le guance, il primo risponde che il dolore è dovuto al peso del piombo delle cappe, che gli fa gemere come i pesi eccessivi fanno cigolare le bilance. Essi furono frati Gaudenti (della Milizia della Beata Vergine Maria) bolognesi, in particolare il parlatore è Catalano dei Malavolti e l’altro Loderingo degli Andalò, entrambi già inviati come pacieri a Firenze (nel 1226), impresa nella quale fallirono, come Dante ben sapeva guardando anche solo alla Torre del Gardingo, la principale torre degli Uberti ridotta in macerie al tempo della cacciata dei ghibellini (sempre nel 1266), che in tale miserevole stato ancora si trovava al tempo di Dante prima che fosse spianata l’odierna Piazza della Signoria.

[bibl]Inferno – Canto ventitreesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ventitreesimo&oldid=41205359 (in data 14 novembre 2011).[/bibl]

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