Canto XXI Inferno- (vv 58-114) – Colloquio tra Virgilio e Malacoda
Testo e commento del Canto XXI dell’Inferno (versi 58-114 )-Colloquio tra Virgilio e Malacoda
Lo buon maestro "Acciò che non si paia che tu ci sia", mi disse, "giù t’acquatta dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia; 60 e per nulla offension che mi sia fatta, non temer tu, ch’i’ ho le cose conte, perch’altra volta fui a tal baratta". 63 Poscia passò di là dal co del ponte; e com’el giunse in su la ripa sesta, mestier li fu d’aver sicura fronte. 66 Con quel furore e con quella tempesta ch’escono i cani a dosso al poverello che di sùbito chiede ove s’arresta, 69 usciron quei di sotto al ponticello, e volser contra lui tutt’i runcigli; ma el gridò: "Nessun di voi sia fello! 72 Innanzi che l’uncin vostro mi pigli, traggasi avante l’un di voi che m’oda, e poi d’arruncigliarmi si consigli". 75 Tutti gridaron: "Vada Malacoda!"; per ch’un si mosse - e li altri stetter fermi - e venne a lui dicendo: "Che li approda?". 78 "Credi tu, Malacoda, qui vedermi esser venuto", disse ’l mio maestro, "sicuro già da tutti vostri schermi, 81 sanza voler divino e fato destro? Lascian’andar, ché nel cielo è voluto ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro". 84 Allor li fu l’orgoglio sì caduto, ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi, e disse a li altri: "Omai non sia feruto". 87 E ’l duca mio a me: "O tu che siedi tra li scheggion del ponte quatto quatto, sicuramente omai a me ti riedi". 90 Per ch’io mi mossi e a lui venni ratto; e i diavoli si fecer tutti avanti, sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto; 93 così vid’ïo già temer li fanti ch’uscivan patteggiati di Caprona, veggendo sé tra nemici cotanti. 96 I’ m’accostai con tutta la persona lungo ’l mio duca, e non torceva li occhi da la sembianza lor ch’era non buona. 99 Ei chinavan li raffi e "Vuo’ che ’l tocchi", diceva l’un con l’altro, "in sul groppone?". E rispondien: "Sì, fa che gliel’accocchi". 102 Ma quel demonio che tenea sermone col duca mio, si volse tutto presto e disse: "Posa, posa, Scarmiglione!". 105 Poi disse a noi: "Più oltre andar per questo iscoglio non si può, però che giace tutto spezzato al fondo l’arco sesto. 108 E se l’andare avante pur vi piace, andatevene su per questa grotta; presso è un altro scoglio che via face. 111 Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’otta, mille dugento con sessanta sei anni compié che qui la via fu rotta. 114
È il momento di “entrare in scena” per i due poeti. Virgilio fa nascondere Dante «acquattato» dietro a una roccia («scheggio», da notare la scelta di questi termini di estrazione più popolaresca e vernacolare) e di non preoccuparsi per lui: non gli accadrà niente perché conosce la strada e l’ha già fatta (Dante ha immaginato che Virgilio avesse già disceso l’Inferno poco dopo la sua morte, episodio narrato in Inf. IX, 22). Virgilio attraversa quindi il ponte e arrivando sul sesto argine (che divide la quinta bolgia dalla sesta) sta con la fronte alta come ostentando sicurezza (anche qui un elemento farsesco). Come i cani che si avventano contro un poverello che chieda l’elemosina e quello sia costretto a arrestarsi e chiederla lì dove si trova, così Virgilio si trova circondato dai diavoli usciti da sotto il ponte che «volser contra lui tutt’i runcigli». Virgilio però grida: «Nessun di voi sia fello [malvagio]!» fermandoli. Continua poi chiedendo di poter parlare prima di essere semmai afferrato, al che i diavoli chiamano in coro «Vada Malacoda!». Malacoda è un po’ il capitano di questa “truppa” di diavoli (che presto daranno luogo a una parodia militaresca) e si presenta a Virgilio dicendo «Che li approda?», “A che pro?”. Virgilio, chiamando il diavolo per nome, gli spiega che se sono giunti fin laggiù, al sicuro da tutti gli “schermi” (ostacoli) infernali, come può egli credere che non sia stato per «voler divino e fato destro»? Variando un po’ sul tema del vuolsi così colà dove si puote, Virgilio stupisce il diavolo con la sua missione divina e Malacoda con un gesto plateale fa cadere l’uncino sbalordito e si raccomanda agli altri diavoli che essi non feriscano i due. Virgilio chiama Dante, che sgattaiola dal suo nascondiglio e si affretta a raggiungere il suo maestro. I diavoli gli si stringono allora attorno con sembianza «non buona» (efficace litote) e il poeta assimila sé stesso ai fanti pisani della Rocca di Caprona quando, dopo la resa del 6 agosto 1289, uscirono sfilando accanto ai nemici minacciosi; si tratta di un episodio secondario della Battaglia di Campaldino al quale Dante afferma di aver personalmente assistito.
Due diavoli “semplici” della truppa allora continuano a guardare Dante malignamente, che è appoggiato alle spalle di Virgilio, e parlano tra di loro facendo finta che Dante non li senta: «Vuo’ che ‘l tocchi [con l’uncino] in sul groppone?»; «Sì, fa che gliel’accocchi.» (da notare il linguaggio comicamente sguaiato dei due). Malacoda, che li ha adocchiati però si affretta a dire «Posa, posa Scarmiglione!». Questi diavoli sono minacciosi ma non c’è niente di spaventoso nelle loro azioni, Dante non è indignato o inorridito, ma è come un semplice attore che sa di non avere nulla da temere.
[bibl]Inferno – Canto ventunesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ventunesimo&oldid=42382081 (in data 14 novembre 2011).[/bibl]