Canto XXIX Purgatorio – (vv 1-154)
Testo Temi e contenuti del Canto XXIX del Purgatorio (versi 1-154)
Cantando come donna innamorata, continüò col fin di sue parole: ’Beati quorum tecta sunt peccata!’. 3 E come ninfe che si givan sole per le salvatiche ombre, disïando qual di veder, qual di fuggir lo sole, 6 allor si mosse contra ’l fiume, andando su per la riva; e io pari di lei, picciol passo con picciol seguitando. 9 Non eran cento tra ’ suoi passi e ’ miei, quando le ripe igualmente dier volta, per modo ch’a levante mi rendei. 12 Né ancor fu così nostra via molta, quando la donna tutta a me si torse, dicendo: "Frate mio, guarda e ascolta". 15 Ed ecco un lustro sùbito trascorse da tutte parti per la gran foresta, tal che di balenar mi mise in forse. 18 Ma perché ’l balenar, come vien, resta, e quel, durando, più e più splendeva, nel mio pensier dicea: ’Che cosa è questa?’. 21 E una melodia dolce correva per l’aere luminoso; onde buon zelo mi fé riprender l’ardimento d’Eva, 24 che là dove ubidia la terra e ’l cielo, femmina, sola e pur testé formata, non sofferse di star sotto alcun velo; 27 sotto ’l qual se divota fosse stata, avrei quelle ineffabili delizie sentite prima e più lunga fïata. 30 Mentr’io m’andava tra tante primizie de l’etterno piacer tutto sospeso, e disïoso ancora a più letizie, 33 dinanzi a noi, tal quale un foco acceso, ci si fé l’aere sotto i verdi rami; e ’l dolce suon per canti era già inteso. 36 O sacrosante Vergini, se fami, freddi o vigilie mai per voi soffersi, cagion mi sprona ch’io mercé vi chiami. 39 Or convien che Elicona per me versi, e Uranìe m’aiuti col suo coro forti cose a pensar mettere in versi. 42 Poco più oltre, sette alberi d’oro falsava nel parere il lungo tratto del mezzo ch’era ancor tra noi e loro; 45 ma quand’i’ fui sì presso di lor fatto, che l’obietto comun, che ’l senso inganna, non perdea per distanza alcun suo atto, 48 la virtù ch’a ragion discorso ammanna, sì com’elli eran candelabri apprese, e ne le voci del cantare ’Osanna’. 51 Di sopra fiammeggiava il bello arnese più chiaro assai che luna per sereno di mezza notte nel suo mezzo mese. 54 Io mi rivolsi d’ammirazion pieno al buon Virgilio, ed esso mi rispuose con vista carca di stupor non meno. 57 Indi rendei l’aspetto a l’alte cose che si movieno incontr’a noi sì tardi, che foran vinte da novelle spose. 60 La donna mi sgridò: "Perché pur ardi sì ne l’affetto de le vive luci, e ciò che vien di retro a lor non guardi?". 63 Genti vid’io allor, come a lor duci, venire appresso, vestite di bianco; e tal candor di qua già mai non fuci. 66 L’acqua imprendëa dal sinistro fianco, e rendea me la mia sinistra costa, s’io riguardava in lei, come specchio anco. 69 Quand’io da la mia riva ebbi tal posta, che solo il fiume mi facea distante, per veder meglio ai passi diedi sosta, 72 e vidi le fiammelle andar davante, lasciando dietro a sé l’aere dipinto, e di tratti pennelli avean sembiante; 75 sì che lì sopra rimanea distinto di sette liste, tutte in quei colori onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto. 78 Questi ostendali in dietro eran maggiori che la mia vista; e, quanto a mio avviso, diece passi distavan quei di fori. 81 Sotto così bel ciel com’io diviso, ventiquattro seniori, a due a due, coronati venien di fiordaliso. 84 Tutti cantavan: "Benedicta tue ne le figlie d’Adamo, e benedette sieno in etterno le bellezze tue!". 87 Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette a rimpetto di me da l’altra sponda libere fuor da quelle genti elette, 90 sì come luce luce in ciel seconda, vennero appresso lor quattro animali, coronati ciascun di verde fronda. 93 Ognuno era pennuto di sei ali; le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo, se fosser vivi, sarebber cotali. 96 A descriver lor forme più non spargo rime, lettor; ch’altra spesa mi strigne, tanto ch’a questa non posso esser largo; 99 ma leggi Ezechïel, che li dipigne come li vide da la fredda parte venir con vento e con nube e con igne; 102 e quali i troverai ne le sue carte, tali eran quivi, salvo ch’a le penne Giovanni è meco e da lui si diparte. 105 Lo spazio dentro a lor quattro contenne un carro, in su due rote, trïunfale, ch’al collo d’un grifon tirato venne. 108 Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale tra la mezzana e le tre e tre liste, sì ch’a nulla, fendendo, facea male. 111 Tanto salivan che non eran viste; le membra d’oro avea quant’era uccello, e bianche l’altre, di vermiglio miste. 114 Non che Roma di carro così bello rallegrasse Affricano, o vero Augusto, ma quel del Sol saria pover con ello; 117 quel del Sol che, svïando, fu combusto per l’orazion de la Terra devota, quando fu Giove arcanamente giusto. 120 Tre donne in giro da la destra rota venian danzando; l’una tanto rossa ch’a pena fora dentro al foco nota; 123 l’altr’era come se le carni e l’ossa fossero state di smeraldo fatte; la terza parea neve testé mossa; 126 e or parëan da la bianca tratte, or da la rossa; e dal canto di questa l’altre toglien l’andare e tarde e ratte. 129 Da la sinistra quattro facean festa, in porpore vestite, dietro al modo d’una di lor ch’avea tre occhi in testa. 132 Appresso tutto il pertrattato nodo vidi due vecchi in abito dispari, ma pari in atto e onesto e sodo. 135 L’un si mostrava alcun de’ famigliari di quel sommo Ipocràte che natura a li animali fé ch’ell’ ha più cari; 138 mostrava l’altro la contraria cura con una spada lucida e aguta, tal che di qua dal rio mi fé paura. 141 Poi vidi quattro in umile paruta; e di retro da tutti un vecchio solo venir, dormendo, con la faccia arguta. 144 E questi sette col primaio stuolo erano abitüati, ma di gigli dintorno al capo non facëan brolo, 147 anzi di rose e d’altri fior vermigli; giurato avria poco lontano aspetto che tutti ardesser di sopra da’ cigli. 150 E quando il carro a me fu a rimpetto, un tuon s’udì, e quelle genti degne parvero aver l’andar più interdetto, 153 fermandosi ivi con le prime insegne.
- La processione simbolica – versi 1-36
- I sette candelabri – vv. 37-60
- I ventiquattro vecchi – vv. 61-87
- Il carro trionfale e il grifone – vv. 88-120
- Le sette donne e i sette vecchi – vv. 121-154
Sintesi
Seguendo Matelda che canta il salmo XXXI, Dante cammina in senso contrario al corso del fiume Lete, finché la donna lo invita ad osservare e ascoltare. Improvvisamente compare una viva luce, come di un lampo che però non scompare, accompagnato da una dolce melodia; Dante pensa con sdegno al peccato di Eva, senza il quale tali bellezze del paradiso terrestre sarebbero state gustate da tutti gli uomini. Poi, tra gli alberi del giardino il cielo si fa rosso, mentre la dolce melodia viene ormai riconosciuta come un coro. Dante poeta chiama in aiuto le Muse per poter esprimere ciò che gli è apparso.
Inizia qui la lunga e complessa processione ispirata alla simbologia biblica.
Compaiono prima di tutto sette alberi d’oro, che, una volta più vicini, si mostrano meglio come sette candelabri (i sette doni dello Spirito santo). Dietro ad essi vengono ventiquattro vecchi vestiti di bianco (i libri dell’Antico testamento); i candelabri intanto procedono lasciando dietro di sé scie luminose dei colori dell’arcobaleno.
Quando lo spazio di là dal fiume di fronte a Dante è lasciato libero dai vecchi, si presentano quattro animali con verdi fronde sul capo, che simboleggiano i Vangeli. Hanno ciascuno sei ali, con le penne “piene d’occhi”; Dante invita il lettore che voglia capir meglio a leggere nel libro di Ezechiele la descrizione completa.
In mezzo ai quattro animali si trova un carro trionfale a due ruote trainato da un grifone. Questo procede con le ali alzate, senza fendere le scie colorate lasciate dai candelabri. Le ali si levano tanto in alto da sfuggire alla vista; il corpo del grifone è d’oro nelle membra di aquila e bianco e rosso nelle membra di leone. Il grifone rappresenta Cristo, nelle sue due nature, umana (il leone) e divina (l’aquila). La bellezza del carro trionfale è superiore a quella dei carri trionfali dei grandi condottieri romani e addirittura a quella del carro del Sole.
Vicino alla ruota destra del carro tre donne danzano: sono le Virtù teologali, distinte dai tre colori: rossa la Carità, verde la Speranza, bianca la Fede. A sinistra danzano quattro donne vestite di porpora (sono le Virtù cardinali).
Dietro a questo gruppo compaiono due vecchi, diversi nell’abito ma uguali nell’atteggiamento dignitoso. Uno sembra un medico, seguace di Ippocrate (potrebbe essere Luca, autore degli Atti degli Apostoli, al quale si attribuiva la professione di medico); l’altro brandisce una spada aguzza (come si raffigura comunemente Paolo di Tarso: simboleggia le sue Lettere). Seguono quattro uomini dall’aspetto modesto (le lettere di Pietro, Giovanni, Giacomo e Giuda).
La processione è chiusa da un vecchio dal viso intenso, che avanza come dormendo (rappresenta l’Apocalisse, ultimo libro del Nuovo Testamento). Tutte queste figure sono vestite come i ventiquattro vecchi venuti prima del carro, ma intorno alla testa non hanno corone candide di gigli bensì corone di rose e altri fiori rossi (allusione allo spirito di carità). La processione si arresta quando il carro è esattamente di fronte a Dante.
Analisi
Il canto, costruito in modo elaborato e solenne e fittamente intessuto di richiami alle Sacre Scritture, presenta indubbiamente alcune difficoltà di lettura e di interpretazione, a cominciare dall’identità della donna (Matelda) che con le sue movenze e il suo canto guida Dante verso il luogo della imminente visione.
Questa si snoda con colori molteplici e brillanti, con diversi effetti di luce e di suono e con varietà di forme allusive a significati allegorici.
Quando questo corteo sorprendente e a suo modo affascinante si arresta, con il nucleo centrale proprio di fronte a Dante, è manifesto il senso dell’attesa di un evento particolarmente alto e sacro, anzi legato alla condizione di Dante come pellegrino arrivato ormai alla vetta del Purgatorio. L’evento, ovvero l’apparizione di Beatrice, si manifesterà però solo nel canto successivo. La processione tornerà in primo piano nel canto trentaduesimo.
Nei versi 37-42 Dante esprime una invocazione alle Muse, perché lo aiutino a “mettere in versi” cose “forti a pensare” ovvero difficili anche solo a immaginarsi; all’invocazione unisce il ricordo di sacrifici e patimenti sopportati per amore della poesia. per rappresentare degnamente ciò che vede, Dante ricorre non solo, come si è visto, al costante richiamo alla Bibbia, ma anche a similitudini tratte dalla cultura classica: dagli occhi di Argo ai cortei trionfali di Scipione Africano o di Augusto; dal carro del Sole alla citazione di Ippocrate.
[/bibl] Purgatorio – Canto ventinovesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Purgatorio_-_Canto_ventinovesimo&oldid=38626499 (in data 22 novembre 2011) [/bibl].