Canto III Inferno – (vv 70-129) – Il fiume Acheronte e Caronte

Testo e commento del Canto III dell’Inferno (versi 70-129) – Il fiume Acheronte e Caronte

E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d’un gran fiume;
per ch’io dissi: "Maestro, or mi concedi 72

ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
com’i’ discerno per lo fioco lume". 75

Ed elli a me: "Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
su la trista riviera d’Acheronte". 78

Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no ’l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi. 81

Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave! 84

Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo. 87

E tu che se’ costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti".
Ma poi che vide ch’io non mi partiva, 90

disse: "Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti". 93

E ’l duca lui: "Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare". 96

Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote. 99

Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che ’nteser le parole crude. 102

Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme
di lor semenza e di lor nascimenti. 105

Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch’attende ciascun uom che Dio non teme. 108

Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia. 111

Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie, 114

similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo. 117

Così sen vanno su per l’onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s’auna. 120

"Figliuol mio", disse 'l maestro cortese,
"quelli che muoion ne l'ira di Dio
tutti convegnon qui d'ogne paese; 123

e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona,
sì che la tema si volve in disio. 126

Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona". 129


Guardando oltre Dante vede delle genti assiepate sulla riva di un grande fiume, pronte a attraversarlo, e chiede a Virgilio chi siano: ciò però gli sarà raccontato solo quando arriveranno alla trista riviera dell’Acheronte: Dante allora si vergogna della sua impazienza e con li occhi vergognosi e gravi si astiene dal parlare fino alla riva.
Ecco che arriva una barca (o nave) guidata da un vecchio, canuto per antico pelo (per la vecchiaia avanzata) che grida “Guai a voi anime prave! (malvagie)”. La descrizione di Caronte, il traghettatore di anime, è mediata da quella che ne dà Virgilio nell’Eneide (VI 298-304), ma Dante dà solo dei tratti più concisi e carichi di significato rispetto alla descrizione più completa e statica del poeta latino.
Segue poi l’invettiva di Caronte che sconforta le anime e sottolinea l’eternità della loro pena: (parafrasi) “Non sperate mai più di rivedere il cielo. Io vi porto sull’altra riva nel buio eterno, nel fuoco o nel gelo” (allusione alle pene infernali). Poi si rivolge direttamente a Dante dicendogli che, in quanto anima viva, deve separarsi dai morti; ma Dante esita. Allora Caronte gli dice che questa non è la barca adatta a lui: gli spetta un altro lieve legno che lo porti a una spiaggia (quella del Purgatorio).
Allora Virgilio gli parla dicendogli di non crucciarsi (e pronunciando il nome Caròn per la prima volta): Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole e più non dimandare (Par. “Sia fatto ciò che nel cielo Empireo è stato ordinato, e non importi più”).
Allora le lanose gote del traghettatore si quietano, ma non gli occhi come cerchiati di fuoco.
Le anime dei nuovi dannati, stanche e nude, nel frattempo, dopo aver sentito l’invettiva di Caronte, sbiancano dalla paura, battono i denti e bestemmiano Dio, i loro genitori, la specie umana e il luogo, l’ora, la stirpe e il seme che li aveva generati.
Poi si raccolgono tutte assieme piangendo, in quella riva del male dove va a finire chi non teme Dio; Caronte dimonio con occhi come brace le fa raggruppare e batte con il remo chiunque rallenta: così come le foglie in autunno cadono una dopo l’altra finché il ramo resta spoglio, così quel mal seme d’Adamo, la stirpe dei dannati, partono dalla spiaggia ed entrano nella barca a una a una, come uccello ammaestrato richiamato dal segnale (nella falconeria). Passano poi il fiume torbido (l’onda bruna) e nel frattempo un’altra nuova schiera si è già adunata dall’altra parte.
Adesso Virgilio giudica il momento opportuno per la spiegazione: tutti quelli che muoiono in ira a Dio convengono in quel luogo da ogni paese; la giustizia divina li sprona a passare questo fiume, così che anche il loro timore diventa attesa e desiderio; Caronte si lagnava di Dante perché qui mai è passata un’anima buona, perciò questo è quello che voleva dirgli. Virgilio quasi sottintende che vi è una legge divina che vieta a coloro che non sono dannati di salire sulla barca per passare l’Acheronte, infatti, anche nel caso di Dante, sembra per coerenza mantenere questa legge, in quanto nonostante Dante oltrepassi comunque il fiume, la sua salita nella barca non viene raccontata, quasi a lasciar intendere che il suo passaggio è avvenuto in maniera diversa lasciata a qualsiasi immaginazione del lettore.

[bibl]Inferno – Canto terzo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_terzo&oldid=44047539 (in data 5 novembre 2011).[/bibl]

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