Canto VI Inferno – (vv 34-93) – Ciacco e Cerbero

Testo e commento del Canto VI dell’Inferno (versi 34-93) – Ciacco, Cerbero

Noi passavam su per l’ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
sovra lor vanità che par persona. 36

Elle giacean per terra tutte quante,
fuor d’una ch’a seder si levò, ratto
ch’ella ci vide passarsi davante. 39

"O tu che se’ per questo ’nferno tratto",
mi disse, "riconoscimi, se sai:
tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto". 42

E io a lui: "L’angoscia che tu hai
forse ti tira fuor de la mia mente,
sì che non par ch’i’ ti vedessi mai. 45

Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente
loco se’ messo, e hai sì fatta pena,
che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente". 48

Ed elli a me: "La tua città, ch’è piena
d’invidia sì che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena. 51

Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco. 54

E io anima trista non son sola,
ché tutte queste a simil pena stanno
per simil colpa". E più non fé parola. 57

Io li rispuosi: "Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita;
ma dimmi, se tu sai, a che verranno 60

li cittadin de la città partita;
s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione
per che l’ ha tanta discordia assalita". 63

E quelli a me: "Dopo lunga tencione
verranno al sangue, e la parte selvaggia
caccerà l’altra con molta offensione. 66

Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l’altra sormonti
con la forza di tal che testé piaggia. 69

Alte terrà lungo tempo le fronti,
tenendo l’altra sotto gravi pesi,
come che di ciò pianga o che n’aonti. 72

Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c’ hanno i cuori accesi". 75

Qui puose fine al lagrimabil suono.
E io a lui: "Ancor vo’ che mi ’nsegni
e che di più parlar mi facci dono. 78

Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca
e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni, 81

dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;
ché gran disio mi stringe di savere
se ’l ciel li addolcia o lo ’nferno li attosca". 84

E quelli: "Ei son tra l’anime più nere;
diverse colpe giù li grava al fondo:
se tanto scendi, là i potrai vedere. 87

Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
priegoti ch’a la mente altrui mi rechi:
più non ti dico e più non ti rispondo". 90

Li diritti occhi torse allora in biechi;
guardommi un poco e poi chinò la testa:
cadde con essa a par de li altri ciechi. 93


Mentre Dante e Virgilio attraversano la massa di fango e anime abbattute (“adonate”) dalla pioggia calpestandole (questo è uno dei pochi casi nell’Inferno dove le anime sono solo ombre senza corpo, una condizione teoricamente generica ma che all’Inferno Dante spesso non considera, mentre sarà frequente nel Purgatorio) una si alza in piedi appena essi le passano davanti.
Questi parla a Dante sfidando a riconoscerlo, poiché il poeta era vivo prima che il dannato fosse disfatto (cioè morto), ma Dante non lo riconosce perché lo stato angoscioso del dannato gli impedisce di ricordarselo. Allora Dante gli chiede chi sia e cosa faccia sotto questa pena, che se ne esistono anche di maggiori, nessuna è così spiacente, sia per chi la subisce che per chi la vede.
Allora Ciacco si presenta con il suo nome (o nomignolo) non si sa perché è un personaggio che non è mai stato identificato esattamente: si pensa che il nome Ciacco, che significa “porco” sia riferito al modo e alla quantità di cibo che assumeva, oppure sia un diminutivo fiorentino di Jacopo), originario della stessa città di Dante (Firenze), che è piena d’invidia sì che già trabocca il sacco; è condannato per il peccato della gola, per il quale è fiaccato sotto la pioggia, ma non è solo, poiché tutte le anime attorno stanno lì per la stessa pena. E più non fé parola: il tono di questo incontro è ben diverso dal precedente con Paolo e Francesca ed è caratterizzato dalla grottesca figura di Ciacco a tratti comico (si pensi alla scelta del linguaggio di Dante piuttosto popolaresco, con rime su doppie consonanti poco liriche come -acco, -aggia e -anno) e a tratti inquietante, come dopo le brusche interruzioni del discorso come questa.
Spinto da una sua intuizione, il poeta gli chiede una profezia sulla sorte di Firenze (in realtà Dante non sapeva fino ad ora che le anime, anche quelle dei dannati, potessero profetizzare il futuro) e, dopo una veloce captatio benevolentiae sulla pietas prova nel vedere la sua pena, pone al dannato tre domande:
A cosa arriveranno (verranno) i cittadini della città divisa (partita, cioè divisa in due parti, Firenze)?
C’è qualche giusto?
Perché è assalita da tanta discordia?
Ciacco risponde allora con precisione fiscale e alle tre domande nello stesso ordine nel quale gli sono state poste:
La prima risposta è la celebre profezia su Firenze, la prima della Commedia, che tratta delle lotte tra guelfi bianchi e neri tra il 1300 e il 1302: dopo una lunga tenzone (dopo molte lotte) essi verranno al sangue (le zuffe del Calendimaggio 1300, dove uno dei Cerchi venne ferito gravemente in volto) e la parte selvaggia (cioè campagnola, i bianchi, perché i capi fazione, i Cerchi, venivano dal contado) caccerà l’altra con molta durezza; poi sarà questa altra parte a cadere entro tre anni (tre soli) e salirà l’altra fazione, grazie alla forza di qualcuno che ora sta in bilico (che testé piaggia, è Bonifacio VIII nel 1300 ancora neutrale); questa fazione terrà superbamente le fronti alte per molto tempo, tenendo l’altra sotto gravi pesi, per quanto essa pianga e si indigni.
Ci sono solo due giusti e nessuno li ascolta: forse più che a due figure reali si deve pensare all’eco biblico dell’episodio della Genesi dove Abramo cercando di salvare una città distrutta dalla corruzione fa un patto con Dio, cercando almeno cinquanta uomini “giusti”; alla fine, nonostante lo sconto a dieci, egli non riesce a trovare nessuno tranne Lot e le sue figlie.
superbia, invidia e avarizia sono le tre scintille che hanno acceso i cuori (accusa che Dante farà ripetere anche a Brunetto Latini, in Inf. XV).
Il fatto che Ciacco non parli a Dante del suo esilio ha fatto pensare ad alcuni (in particolare al Boccaccio) che queste prime cantiche dell’Inferno fossero state scritte verso il 1301, prima cioè che il poeta venisse a sapere della sua condanna. In realtà queste intuizioni si basano su indizi molto flebili (lo stesso Ciacco cita avvenimenti del 1302 e dice quanto l’egemonia dei Neri sarà lunga), e oggi si è propensi a pensare che il poeta volesse semplicemente sviluppare gradualmente il tema politico e quello delle profezie, lasciando per più tardi il vaticinio del suo esilio, pronunciato da Farinata degli Uberti nel X canto.
Dopo queste parole Ciacco torna muto ed è Dante che deve sollecitare un’altra richiesta: “Qual è la sorte di un gruppo di fiorentini illustri della passata generazione, «ch’a ben far puose li ‘ngegni?» (v. 81), li addolcisce il cielo o li avvelena (attosca) l’inferno? Essi sono Farinata degli Uberti, Arrigo (non più nominato nella Commedia), Mosca dei Lamberti, Tegghiaio Aldobrandi, Jacopo Rusticucci. Ciacco dice che essi sono tra le anime più nere e che si trovano nei cerchi inferiori dell’Inferno per diverse colpe.
Qui avviene un’altra tappa del processo di conversione del poeta: dopo aver visto che anche gli effetti della poesia amorosa, al quale aveva aderito in gioventù, possono portare alla dannazione, con l’episodio di Paolo e Francesca, adesso il poeta scopre che anche il valore politico in vita non garantisce la salvezza divina.
Infine Ciacco prega Dante di ricordarlo nel mondo dei vivi, poi si interrompe bruscamente: “più non ti dico e più non ti rispondo”. Allora storce grottescamente gli occhi, forse per lo sforzo di restare seduto mentre il suo destino lo spinge nuovamente in basso, forse perché riassalito dalla bestialità del suo girone dopo aver conosciuto quei pochi minuti di lucidità che gli erano stati concessi per parlare con Dante; china la testa e sprofonda di nuovo nella fanghiglia, mentre Virgilio assicura che non si alzerà mai più da lì fino al Giudizio Universale, quando l’angelica tromba annuncerà la nimica podestade, cioè Dio, nemico dei dannati.

[bibl]Inferno – Canto sesto, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_sesto&oldid=44387114 (in data 7 novembre 2011).[/bibl]

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