Canto VII Inferno – (vv 100-130) – Palude dello Stige e iracondi
Testo e commento del Canto VII dell’Inferno (versi 100-130) – La palude dello Stige e gli iracondi
Noi ricidemmo il cerchio a l’altra riva sovr’una fonte che bolle e riversa per un fossato che da lei deriva. 102 L’acqua era buia assai più che persa; e noi, in compagnia de l’onde bige, intrammo giù per una via diversa. 105 In la palude va c’ ha nome Stige questo tristo ruscel, quand’è disceso al piè de le maligne piagge grige. 108 E io, che di mirare stava inteso, vidi genti fangose in quel pantano, ignude tutte, con sembiante offeso. 111 Queste si percotean non pur con mano, ma con la testa e col petto e coi piedi, troncandosi co’ denti a brano a brano. 114 Lo buon maestro disse: "Figlio, or vedi l’anime di color cui vinse l’ira; e anche vo’ che tu per certo credi 117 che sotto l’acqua è gente che sospira, e fanno pullular quest’acqua al summo, come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira. 120 Fitti nel limo dicon: "Tristi fummo ne l'aere dolce che dal sol s'allegra, portando dentro accidïoso fummo: 123 or ci attristiam ne la belletta negra". Quest’inno si gorgoglian ne la strozza, ché dir nol posson con parola integra". 126 Così girammo de la lorda pozza grand’arco, tra la ripa secca e ’l mézzo, con li occhi vòlti a chi del fango ingozza. 129 Venimmo al piè d’una torre al da sezzo.
Ancora per la prima volta in questo canto troviamo una rottura dello schema girone-canto, cioè la segmentazione poetica non corrisponde più a quella dei cerchi infernali. Infatti si arriva subito al prossimo cerchio, dove i due poeti incontrano una fonte dalla quale sgorgano acque nere che ribollono, che alimentano la palude dello Stige, fiume già citato da Virgilio nell’Eneide.
Qui Dante vede genti ignude immerse nel pantano, prese dalla furia che le fa picchiare tra di loro con tutto il corpo: mani, piedi, testa e denti. Virgilio chiarisce presto che si tratta delle “anime di color cui vinse l’ira”, ma anche sott’acqua è pieno di dannati, gli accidiosi o “iracondi amari” coloro che covarono dentro di sé la propria rabbia e che adesso fanno ribollire la palude con i loro tristi pensieri.
Alcuni critici vollero sostenere che nella palude si trovino nascosti anche altri peccatori che non trovano punizione altrove, come i superbi e gli invidiosi… a parte che non c’è nessun indizio per sostenere una tale ipotesi, c’è da sottolineare come Dante nell’Inferno segua la partizione dei peccatori sulla falsariga di Aristotele (quindi non secondo lo schema dei sette vizi capitali a cui superbia e invidia appartengono), mentre seguirà la disciplina cristiana nello strutturare i peccatori nel Purgatorio.
Camminando, i due poeti arrivano quindi ai piedi di una torre, nel punto in cui il canto si interrompe. L’ottavo canto si apre invece quando Dante e Virgilio non sono ancora al di sotto della torre. Quindi tra la fine del VII canto e l’inizio dell’VIII vi è una discrepanza cronologica.
Due sono le ipotesi più accreditate: secondo il Boccaccio, Dante avrebbe scritto i primi sette canti della sua opera quando si trovava ancora a Firenze prima di essere mandato in esilio e si sarebbe fatto mandare i primi canti dopo essere stato esiliato; un’altra ipotesi è quella che afferma che Dante avesse inizialmente l’intenzione di scrivere la sua Commedia in latino[senza fonte] e, effettivamente, avrebbe scritto i primi sette canti della cantica infernale in latino, appunto. Dopo essere stato mandato in esilio avrebbe proceduto alla traduzione dei canti e si sarebbe così prodotta quella increspatura nella cronologia dei canti.
[bibl]Inferno – Canto settimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_settimo&oldid=42494136 (in data 7 novembre 2011).[/bibl]