Canto X Inferno – (vv 22-51) – Farinata degli Uberti

Testo e commento del Canto X dell’Inferno (versi 22-51 ) – Farinata degli Uberti

"O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco. 24

La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patrïa natio,
a la qual forse fui troppo molesto". 27

Subitamente questo suono uscìo
d’una de l’arche; però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio. 30

Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto ’l vedrai". 33

Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
com’avesse l’inferno a gran dispitto. 36

E l’animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: "Le parole tue sien conte". 39

Com’io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: "Chi fuor li maggior tui?". 42

Io ch’era d’ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel’apersi;
ond’ei levò le ciglia un poco in suso; 45

poi disse: "Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fïate li dispersi". 48

"S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte",
rispuos’io lui, "l’una e l’altra fïata;
ma i vostri non appreser ben quell’arte". 51


Appena terminate le parole del poeta si leva una voce improvvisa che chiede: “O toscano che vai vivo per la città infuocata e che parli con tono onesto, fermati per piacere in questo luogo, poiché il tuo accento fa capire che provieni da quella nobile patria verso la quale io fui forse troppo molesto” (parafrasi vv. 23-27).
Dante si gira verso la tomba dalla quale è uscito il suono, ma non si allontana da Virgilio, il quale allora lo sprona:
« Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
de la cintola in sù tutto ‘l vedrai »
Appare quindi questo spirito che si erge da una tomba, del quale Dante nota subito la fierezza insita nel dannato: schiena dritta e fronte alta come se avesse un gran disprezzo dell’Inferno (“com’avesse l’inferno a gran dispitto”). L’incontro è con un gran personaggio e Virgilio stesso raccomanda a Dante di usare parole “nobili” (“conte”): il dialogo sarà infatti uno dei più teatrali della Divina Commedia.
Farinata degli Uberti fu il più importante capo ghibellino a Firenze nel XIII secolo. Egli sconfisse i guelfi nel 1248 e, dopo la morte di Federico II di Svevia e il ritorno dei guelfi, fu costretto all’esilio. Riparato a Siena con altre famiglie ghibelline riorganizzò le forze della propria fazione e, con l’appoggio di truppe di Manfredi di Sicilia, sconfisse duramente le forze guelfe nella battaglia di Montaperti (4 settembre 1260). I capi ghibellini allora si riunirono ad Empoli e venne deciso di radere al suolo Firenze: fu solo la ferma opposizione di Farinata a far bocciare l’iniziativa, così egli tornò trionfale in Firenze, e vi morì nel 1264. Solo due anni dopo, con la Battaglia di Benevento i guelfi si ripresero definitivamente Firenze, cacciando tutte le famiglie ghibelline. Molte rientrarono gradualmente ritrattando il proprio credo politico, ma solo gli Uberti subirono un crudissimo accanimento: condannato come eretico quasi venti anni dopo essere morto, le sue ossa vennero riesumate dalla chiesa di Santa Reparata e gettate in Arno, mentre i suoi beni furono confiscati ai discendenti; due suoi figli vennero decapitati in piazza, un suo cugino venne ucciso a randellate, poi ancora vennero processati altri tre figli, due nipoti, la vedova Adaletta: tutti condannati al rogo. Dante era presente alla riesumazione, che doveva avergli fatto molta impressione.
Farinata per Dante è invece un magnanimo, uno spirito grande, nonostante i fatti ai quali ha assistito quando aveva sui diciotto anni. Fu solo grazie alla sua elegia di Farinata (pur se comunque dannato all’Inferno) che la sua memoria tornò grande come in passato, tanto da venire poi inserito tra i fiorentini illustri, per esempio nel ciclo di affreschi di Andrea del Castagno o nelle statue che ornano il piazzale degli Uffizi. Dante prova grande rispetto per Farinata degli Uberti, anche se Farinata era suo rivale politico, rispetto derivante dal grande amore che Farinata prova per la nobil patria Firenze. Com’avesse l’inferno a gran dispitto, è un verso famoso che ci fa capire che Farinata non soffra per la pena infernale cui è sottoposto ma piuttosto per il fatto che i Fiorentini non l’abbiano riconosciuto come unica persona che salvò Firenze dalla distruzione.
Il ritratto che ne fa Dante è orgoglioso e austero, a tratti superbo, anche se qua e là traspaiono i suoi limiti umani, i suoi rimpianti (“forse fui troppo molesto”…). Dante apprezza Farinata perché nel suo lato virtuoso è un suo modello:
Ha coraggio e coerenza politica;
È un perseguitato politico come lui;
È un ghibellino, e Dante si avvicinerà sempre di più a questa ideologia, tanto che Ugo Foscolo lo chiamò il “ghibellin fuggiasco”;
Farinata ama la sua città prima di tutto e (lo dirà poco dopo) fu l’unico che dopo la battaglia di Montaperti si ostinò contro la distruzione della città (anche Dante combattente con Enrico VII di Lussemburgo, da lui chiamato Arrigo, rifiutò di prendere le armi contro la sua città che veniva posta d’assedio).
Quello che Dante non condivide è tutto sul piano religioso e in parte su quello militare (è come se gli rimproverasse di “aver colorato l’Arbia di rosso”, cioè di aver fatto un massacro a Montaperti). Comunque il poeta accenna continuamente a particolari fisici di Farinata che contribuiscono a farne anche un ritratto della levatura morale.
Il dialogo vero e proprio inizia dal verso 42: Farinata guarda Dante un po’ “sdegnoso” perché non lo riconosce (egli era nato un anno dopo la sua morte), e la sua prima domanda è proprio: “Chi furono i tuoi antenati?”. Dante gli risponde (senza tediare il lettore con la storia degli Alighieri), ed allora Farinata, alzando un po’ le sopracciglia risponde che la famiglia di Dante (di guelfi) fu una fiera rivale sua, dei suoi avi e del suo partito (“Fieramente furo avversi / a me e a miei primi e a mia parte”, vv. 46-47), ma egli seppe farli espellere per due volte vincendoli (cacciata dei guelfi nel 1251 e nel 1267).
Dante riprende subito a botta e risposta: “Se li hai cacciati, essi tornarono entrambe le volte, cosa che i vostri (i ghibellini) non seppero fare” (parafrasi vv. 49-51)

[bibl]Inferno – Canto decimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_decimo&oldid=44472221 (in data 8 novembre 2011).[/bibl]

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