Canto XI Inferno – (vv 16-90) – Disposizione dei dannati

Testo e commento del Canto XI dell’Inferno (versi 16-90) – Ordinamento e distribuzione dei dannati nell’inferno

Così ’l maestro; e io "Alcun compenso",
dissi lui, "trova che ’l tempo non passi
perduto". Ed elli: "Vedi ch’a ciò penso". 15

"Figliuol mio, dentro da cotesti sassi",
cominciò poi a dir, "son tre cerchietti
di grado in grado, come que’ che lassi. 18

Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti. 21

D'ogne malizia, ch'odio in cielo acquista,
ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista. 24

Ma perché frode è de l’uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
li frodolenti, e più dolor li assale. 27

Di vïolenti il primo cerchio è tutto;
ma perché si fa forza a tre persone,
in tre gironi è distinto e costrutto. 30

A Dio, a sé, al prossimo si pòne
far forza, dico in loro e in lor cose,
come udirai con aperta ragione. 33

Morte per forza e ferute dogliose
nel prossimo si danno, e nel suo avere
ruine, incendi e tollette dannose; 36

onde omicide e ciascun che mal fiere,
guastatori e predon, tutti tormenta
lo giron primo per diverse schiere. 39

Puote omo avere in sé man vïolenta
e ne’ suoi beni; e però nel secondo
giron convien che sanza pro si penta 42

qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
e piange là dov’esser de’ giocondo. 45

Puossi far forza ne la deïtade,
col cor negando e bestemmiando quella,
e spregiando natura e sua bontade; 48

e però lo minor giron suggella
del segno suo e Soddoma e Caorsa
e chi, spregiando Dio col cor, favella. 51

La frode, ond'ogne coscïenza è morsa,
può l'omo usare in colui che 'n lui fida
e in quel che fidanza non imborsa. 54

Questo modo di retro par ch’incida
pur lo vinco d’amor che fa natura;
onde nel cerchio secondo s’annida 57

ipocresia, lusinghe e chi affattura,
falsità, ladroneccio e simonia,
ruffian, baratti e simile lordura. 60

Per l’altro modo quell’amor s’oblia
che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
di che la fede spezïal si cria; 63

onde nel cerchio minore, ov’è ’l punto
de l’universo in su che Dite siede,
qualunque trade in etterno è consunto". 66

E io: "Maestro, assai chiara procede
la tua ragione, e assai ben distingue
questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede. 69

Ma dimmi: quei de la palude pingue,
che mena il vento, e che batte la pioggia,
e che s’incontran con sì aspre lingue, 72

perché non dentro da la città roggia
sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
e se non li ha, perché sono a tal foggia?". 75

Ed elli a me "Perché tanto delira",
disse, "lo ’ngegno tuo da quel che sòle?
o ver la mente dove altrove mira? 78

Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che ’l ciel non vole, 81

incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta? 84

Se tu riguardi ben questa sentenza,
e rechiti a la mente chi son quelli
che sù di fuor sostegnon penitenza, 87

tu vedrai ben perché da questi felli
sien dipartiti, e perché men crucciata
la divina vendetta li martelli". 90


È Dante a proporre a Virgilio di dire qualcosa di interessante nell’attesa e il maestro, che già ci stava pensando, gli inizia a parlare degli ultimi tre cerchi, affinché, quando scenderanno, a Dante sia sufficiente un’occhiata per capire pena e dannati, senza doversi dilungare in spiegazioni. In seguito il discorso si allargherà a tutto l’Inferno, compresi i cerchi già visitati.
«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
di grado in grado, come que’ che lassi.
Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti.”
“Figliolo mio, dentro queste rocce,”
cominciò poi a dire, ”ci sono tre cerchi,
più piccoli a mano a mano che si digrada,
come quelli che ti lasci alle spalle.
Sono tutti colmi di spiriti maledetti;
ma perché ti sia sufficiente vederli,
cerca di intendere in che modo
e in base a quale criterio sono ammassati.

Virgilio inizia a parlare dei peccati di malizia, quelli puniti entro le mura di Dite, e dice che essi hanno tutti come risultati l'”ingiuria” altrui. Per ottenere questa ingiuria si può ricorrere alla frode o alla forza, la prima più grave della seconda, quindi punita più in basso. Il prossimo cerchio è invece occupato dai violenti: in ordine di gravità
Violenti contro gli altri e le sostanze degli altri (tiranni, omicidi, rapinatori, predoni…)
Violenti contro sé stessi e contro le proprie sostanze (suicidi e scialacquatori)
Violenti contro Dio e contro la natura (bestemmiatori, sodomiti e usurai)
Per ciascuno dei tre peccati esiste un sottogirone, nel quale sono puniti con diverso grado o diversa pena le varie categorie. I sodomiti sono indicati come abitanti di Sodoma, mentre gli usurai di Cahors (“Caorsa”), all’epoca sinonimo di città degli strozzini.
Dal verso 52 inizia la trattazione dei peccati legati alla frode. Un prima distinzione è legata alle frodi verso il prossimo, che per natura non sarebbe tenuto a fidarsi (e qui Dante elenca sparsamente otto dei dieci peccati puniti nel girone dei fraudolenti, diviso in Malebolge), e le frodi contro chi di noi si fida, cioè i tradimenti veri e propri, che rompono non solo il vincolo naturale di reciproco aiuto tra esseri umani, come i fraudolenti, ma anche quello della fiducia speciale (tra parenti, amici, compatrioti…) per questo è il peccato più grave che viene punito nel cerchio più piccolo dove siede Dite, cioè Lucifero.
A questo punto Dante chiede perché i peccatori dei gironi precedenti (elencati secondo la loro pena) non sono puniti entro la città, forse perché non rientrano nell’ambito dell’ira divina? La risposta di Virgilio è piuttosto brusca: “perché esci dalla via maestra (“delira lo ‘ngegno tuo”)? O forse segui altre dottrine [eretiche]? Non ti ricordi come nella tua Etica di Aristotele i peccati siano divisi in tre disposizioni che il cielo non vuole cioè incontinenza, malizia e matta bestialità? e non ricordi come l’incontinenza sia giudicata meno grave delle altre? Se tieni a mente questo, si capisce perché la vendetta divina li martelli di meno” (parafrasi vv. 76-90).
Se su malizia e incontinenza non ci sono dubbi, più vago e oggetto di dispute è il significato della matta bestialitade. Per alcuni essa indica la violenza (mentre malizia allora indicherebbe solo la frode), altri la indicano come l’eresia, non indicata altrove, che però non esisteva come peccato nell’etica.
Resterebbero comunque esclusi i peccati degli ignavi, delle anime del Limbo e, secondo alcune interpretazioni, degli eretici appunto: i relativi peccatori fanno parte dell’antinferno o dei gironi che stanno sulla soglia di una parte dell’Inferno (Alto e Basso Inferno), e forse Dante gli ha volutamente escludere dall’elencazione, in quanto peccati non attivi, la cui negatività starebbe nel “non aver fatto”.

[bibl]Inferno – Canto undicesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_undicesimo&oldid=38300958 (in data 8 novembre 2011).

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