Canto XII Inferno – (vv 46 – 99) – Flegetonte e Centauri

Testo e commento del Canto XII dell’Inferno (versi 46 – 99) – Il Flegetonte e i Centauri

Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia
la riviera del sangue in la qual bolle
qual che per vïolenza in altrui noccia". 48

Oh cieca cupidigia e ira folle,
che sì ci sproni ne la vita corta,
e ne l’etterna poi sì mal c’immolle! 51

Io vidi un’ampia fossa in arco torta,
come quella che tutto ’l piano abbraccia,
secondo ch’avea detto la mia scorta; 54

e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia
corrien centauri, armati di saette,
come solien nel mondo andare a caccia. 57

Veggendoci calar, ciascun ristette,
e de la schiera tre si dipartiro
con archi e asticciuole prima elette; 60

e l’un gridò da lungi: "A qual martiro
venite voi che scendete la costa?
Ditel costinci; se non, l’arco tiro". 63

Lo mio maestro disse: "La risposta
farem noi a Chirón costà di presso:
mal fu la voglia tua sempre sì tosta". 66

Poi mi tentò, e disse: "Quelli è Nesso,
che morì per la bella Deianira,
e fé di sé la vendetta elli stesso. 69

E quel di mezzo, ch’al petto si mira,
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;
quell’altro è Folo, che fu sì pien d’ira. 72

Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
saettando qual anima si svelle
del sangue più che sua colpa sortille". 75

Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:
Chirón prese uno strale, e con la cocca
fece la barba in dietro a le mascelle. 78

Quando s’ebbe scoperta la gran bocca,
disse a’ compagni: "Siete voi accorti
che quel di retro move ciò ch’el tocca? 81

Così non soglion far li piè d’i morti".
E ’l mio buon duca, che già li er’al petto,
dove le due nature son consorti, 84

rispuose: "Ben è vivo, e sì soletto
mostrar li mi convien la valle buia;
necessità ’l ci ’nduce, e non diletto. 87

Tal si partì da cantare alleluia
che mi commise quest’officio novo:
non è ladron, né io anima fuia. 90

Ma per quella virtù per cu’ io movo
li passi miei per sì selvaggia strada,
danne un de’ tuoi, a cui noi siamo a provo, 93

e che ne mostri là dove si guada,
e che porti costui in su la groppa,
ché non è spirto che per l’aere vada". 96

Chirón si volse in su la destra poppa,
e disse a Nesso: "Torna, e sì li guida,
e fa cansar s’altra schiera v’intoppa". 99


Virgilio indica allora a Dante la “riviera di sangue” dove sono bolliti i violenti verso il prossimo. Dante ha un’esclamazione di rammarico verso come l’ira e la cupidigia (qui non intese come incontinenze) spingano ad atti di violenza che vengono così puniti per l’eternità. Descrive poi la fossa del letto del fiume che occupa tutta la piana e che forma un arco, essendo l’inferno fatto da cerchi concentrici, e scorge tra la fine della frana e la riva del fiume una schiera di centauri armati di frecce, che vanno a caccia come erano soliti farlo nel mondo dei vivi.
I due poeti sono a loro volta visti dai centauri, che si avvicinano ai due, archi alla mano, e uno di essi (Nesso) intima loro da lontano: “A quale pena venite voi che scendete il sentiero? Ditelo subito sennò vi colpisco con le frecce!”.
Virgilio risponde pronto che vuol parlare sì, ma solo con Chirone, il più savio dei tre, rimproverando a Nesso l’impulsività (“mal fu la voglia tua sì tosta” v. 66), alludendo al suo innamorarsi con subitanea violenza di Deianira, moglie di Ercole, e al suo tentativo di rapirla per cui fu ucciso da quest’ultimo con una freccia avvelenata.
Mentre i due poeti si appressano a loro, Virgilio spiega a Dante chi sono i tre centauri che si sono allontanati dalla schiera: Nesso, che morì per Deianira ma si vendicò da solo (ingannò Deianira a creare una tunica con la sua pelle avvelenata da dare a Ercole che l’aveva assassinato con frecce avvelenate, venendo così a sua volta ucciso dal veleno); Chirone, che allevò (“nodrì”) Achille; e Folo, che fu così pieno d’ira (si ubriacò alle nozze tra Ippodamia e Piritoo tentando di rapire la sposa e le altre donne dei Lapiti). Essi, continua Virgilio, corrono attorno al fosso del fiume e colpiscono qualsiasi anima esca dal sangue in misura maggiore a quanto richieda la sua colpa (i diversi livelli di immersione a seconda della colpa saranno spiegati più avanti).
Intanto i due poeti sono davanti a quelle fiere veloci (“snelle” nell’italiano antico stava per rapide) e Chirone prima di parlare si scansa la barba lunga con la cocca di una freccia: un particolare di grande realismo che vivacizza la poesia. Chirone parla allora e dice ai compagni di notare come Dante sia vivo perché muove i ciottoli che calpesta. Virgilio, che era già davanti al centauro, vicino a dove la natura umana e bestiale si uniscono (al ventre), spiega come Dante sia vivo e lui gli debba mostrare “la valle buia” per necessità, non per diletto: “Tale” (qui sta per Beatrice) lo incaricò di accompagnarlo e nessuno dei due è un ladrone (riferendosi ai peccati puniti in questo cerchio). Ma in nome di quella divinità che gli fece iniziare questo viaggio, Virgilio chiede a Chirone di concedere loro uno di questi centauri ai quali sono vicini (“a provo”), perché porti Dante in groppa e faccia guadare il fiume, poiché egli non è uno spirito che può volare. La preoccupazione di Virgilio sta nel bisogno di attraversare il sangue bollente senza che Dante ne venga ferito, e questa volta non sarà usato l’espediente del traghettatore come con l’Acheronte e lo Stige.
Chirone accetta e li affida a Nesso, che accetta di buon grado il compito, sebbene non si accenni più al fatto del salire o scendere dalla groppa del centauro da parte di Dante. L’ubbidienza e la grandezza dei centauri (che in Dante è spesso sinonimo di grandezza morale) è opposta alla cieca bestialità del Minotauro incontrato precedentemente.

[bibl]Inferno – Canto dodicesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_dodicesimo&oldid=38995951 (in data 11 novembre 2011).[/bibl]

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