Canto XVII Inferno – (vv 1-27) – Gerione

Testo e commento del Canto XVII dell’Inferno (versi 1-27) – Gerione

"Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l'armi!
Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza!". 3

Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;
e accennolle che venisse a proda,
vicino al fin d’i passeggiati marmi. 6

E quella sozza imagine di froda
sen venne, e arrivò la testa e ’l busto,
ma ’n su la riva non trasse la coda. 9

La faccia sua era faccia d’uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle,
e d’un serpente tutto l’altro fusto; 12

due branche avea pilose insin l’ascelle;
lo dosso e ’l petto e ambedue le coste
dipinti avea di nodi e di rotelle. 15

Con più color, sommesse e sovraposte
non fer mai drappi Tartari né Turchi,
né fuor tai tele per Aragne imposte. 18

Come talvolta stanno a riva i burchi,
che parte sono in acqua e parte in terra,
e come là tra li Tedeschi lurchi 21

lo bivero s’assetta a far sua guerra,
così la fiera pessima si stava
su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra. 24

Nel vano tutta sua coda guizzava,
torcendo in sù la venenosa forca
ch’a guisa di scorpion la punta armava. 27


Il canto inizia con Virgilio che presenta la bestia che ha evocato sul finire del canto precedente:
« Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l'armi!

Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza! »
(Inf. XVII 1-3)
Ecco cioè Gerione (simbolo della frode, si dice esplicitamente al v. 7, dove lo si chiama sozza imagine di froda) che impesta il mondo, valica le montagne e supera le mura difensive e le armi degli uomini con la sua coda aguzza.
L'aspetto di questo mostro, ben diverso dal Geriore della tradizione classica, è spiegato nelle terzine successive:
"La faccia sua era faccia d'uom giusto, / tanto benigna avea di fuor la pelle"; significa che la frode si manifesta con sembianze normali e innocue
Il corpo è di serpente;
Ha due zampe leonine (branche) coperte di pelo fino alle ascelle;
Schiena, petto e fianchi sono caratterizzati da squame colorate che creano ruote e nodi come mai se ne videro sui drappi orientali, né Aracne poté mai tessere; questi colori fiammeggianti simboleggiano l'attrazione che la frode esercita sul frodato
Ha una coda di scorpione, che guizza nell'aria minacciando con la sua punta avvelenata; evidente simbolo del tradimento alle spalle.
Inoltre questa bestia sta poco lontano dai poeti, mezza sulla riva e mezza nel fiume, come i "burchielli" dei tedeschi mangioni (lurchi) o come il castoro (bivero) quando sta appostato prima di cacciare i pesci. Nell'animalistica medievale ai castori si dava anche la qualità di adescare i pesci secernendo sostanze oleose che li attirassero per poi catturarli improvvisamente, quindi la loro citazione è probabilmente legata pure al concetto di frode stessa.
Dante è impressionato soprattutto da questa coda pericolosa, e nel canto la cita ben cinque volte: ai versi 1, 9, 25-27, 84 e 103-104.
Ecco la fiera con la coda aguzza;
Ma 'n su la riva non trasse la coda;
Nel vano tutta sua coda guizzava / torcendo in suso la venenosa forca / ch'a guisa di scorpion la punta armava;
"Sì che la coda non possa far male" (qui è Virgilio che parla);
Là v'era 'l petto, la coda rivolse, / e quella tesa, come anguilla mosse, / e con le branche l'aere a sé raccolse".

[bibl]Inferno - Canto diciassettesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_diciassettesimo&oldid=41547318 (in data 11 novembre 2011).[/bibl]

Lascia un commento