Canto XVIII Inferno- (vv 67-99) – Giasone

Testo e commento del Canto XVIII dell’Inferno (versi 67-99) – Giasone

I’ mi raggiunsi con la scorta mia;
poscia con pochi passi divenimmo
là ’v’uno scoglio de la ripa uscia. 69

Assai leggeramente quel salimmo;
e vòlti a destra su per la sua scheggia,
da quelle cerchie etterne ci partimmo. 72

Quando noi fummo là dov’el vaneggia
di sotto per dar passo a li sferzati,
lo duca disse: "Attienti, e fa che feggia 75

lo viso in te di quest’altri mal nati,
ai quali ancor non vedesti la faccia
però che son con noi insieme andati". 78

Del vecchio ponte guardavam la traccia
che venìa verso noi da l’altra banda,
e che la ferza similmente scaccia. 81

E ’l buon maestro, sanza mia dimanda,
mi disse: "Guarda quel grande che vene,
e per dolor non par lagrime spanda: 84

quanto aspetto reale ancor ritene!
Quelli è Iasón, che per cuore e per senno
li Colchi del monton privati féne. 87

Ello passò per l’isola di Lenno
poi che l’ardite femmine spietate
tutti li maschi loro a morte dienno. 90

Ivi con segni e con parole ornate
Isifile ingannò, la giovinetta
che prima avea tutte l’altre ingannate. 93

Lasciolla quivi, gravida, soletta;
tal colpa a tal martiro lui condanna;
e anche di Medea si fa vendetta. 96

Con lui sen va chi da tal parte inganna;
e questo basti de la prima valle
sapere e di color che ’n sé assanna". 99


Dante allora prosegue e sale sul ponticello con Virgilio; quando sono al centro (dove la pietra “vaneggia di sotto” cioè dove passa sopra al vuoto) Virgilio dice di girarsi anche a vedere la seconda schiera di dannati che gira nell’altro senso. In quella fila di dannati il maestro indica un grande (di statura o di animo?) che viene incontro e che mantiene un aspetto da re senza piangere nonostante il bruciante dolore. Si tratta di Giasone, il protagonista del recupero del Vello d’oro (preso ai Colchi, come dice Virgilio) nella spedizione degli Argonauti. Il poeta latino descrive, segnalando alcuni passi di quanto narrato da Ovidio nelle Metamorfosi, di come Giasone passò da Lemno dove le donne avevano ucciso tutti gli uomini; qui ingannò Ipsipile seducendola (lei che aveva già ingannato le altre donne facendo salvare suo padre, unico uomo superstite sull’isola) e la abbandonò gravida; per tale colpa è condannato a questo martirio che fa inoltre vendetta di Medea, anch’ella sedotta e abbandonata da Giasone: “Lasciolla quivi, gravida, soletta; tal colpa a tal martirio lui condanna; e anche di Medea si fa vendetta.” (vv. 94-96). In questa seconda parte della bolgia sono quindi puniti i seduttori, e Virgilio chiude bruscamente dicendo che questo basti per trattare coloro che sono “azzannati” (come una gigantesca bocca) nella prima bolgia.

[bibl]Inferno – Canto diciottesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_diciottesimo&oldid=38300805 (in data 11 novembre 2011).[/bibl]

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