Canto XXII Inferno- (vv 1-30) – Diavoli e barattieri
Testo e commento del Canto XXI dell’Inferno (versi 1-30)-Diavoli e barattieri
Io vidi già cavalier muover campo, e cominciare stormo e far lor mostra, e talvolta partir per loro scampo; 3 corridor vidi per la terra vostra, o Aretini, e vidi gir gualdane, fedir torneamenti e correr giostra; 6 quando con trombe, e quando con campane, con tamburi e con cenni di castella, e con cose nostrali e con istrane; 9 né già con sì diversa cennamella cavalier vidi muover né pedoni, né nave a segno di terra o di stella. 12 Noi andavam con li diece demoni. Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni. 15 Pur a la pegola era la mia ’ntesa, per veder de la bolgia ogne contegno e de la gente ch’entro v’era incesa. 18 Come i dalfini, quando fanno segno a’ marinar con l’arco de la schiena che s’argomentin di campar lor legno, 21 talor così, ad alleggiar la pena, mostrav’alcun de’ peccatori ’l dosso e nascondea in men che non balena. 24 E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso stanno i ranocchi pur col muso fuori, sì che celano i piedi e l’altro grosso, 27 sì stavan d’ogne parte i peccatori; ma come s’appressava Barbariccia, così si ritraén sotto i bollori. 30
Il canto inizia riallacciandosi direttamente al precedente e spiega con un’amplissima similitudine il suono del cul del diavolo fatto “trombetta”. Dante vi richiama con dovizia di dettagli le proprie vicende biografiche, nelle quali ha avuto modo di vedere operazioni militari d’ogni tipo e tutti i segnali che le caratterizzano (la marcia, l’assalto, la rassegna, la ritirata, le sortite a cavallo, i tornei a squadra e in singolo mossi da suoni di trombe, campane, tamburi, segnali visivi dai castelli, cose all’italiana e cosa alla straniera, né pedoni, né navi che seguissero segnali di terra o le stelle), ma mai uno così strano come questo con cui i diavoli si mettono in marcia (cioè la scoreggia del loro comandante). Questa parentesi, dove Dante finge di essere un po’ stupefatto e un po’ saccente, è un chiaro esempio dello stile comico del brano dei barattieri: egli usa parole marziali e magniloquenti per metter su un divertissement basato sulla parodia.
Notevole è anche, all’inizio del canto, l’accumulazione di riferimenti militari che si riferiscono ad episodi autobiografici: Dante menziona la battaglia di Campaldino, che fu seguita dall’assedio di Caprona citato nel canto precedente; questa spedizione fiorentina del 1289 si tratta dell’unica esperienza militare che Dante ebbe (a quanto si sa).
Dante e Virgilio dunque stanno camminando in compagnia dei dieci demoni (“i Malebranche”) lungo l’argine della bolgia, ma il pellegrino non è spaventato o inorridito (come per esempio sulla schiena di Gerione), anzi non gli viene in mente altro che un proverbio “ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni (cioè i furfanti)” (vv. 14-15), come a voler dire che a ogni luogo si conface una compagnia “in tema” e che essendo all’Inferno si deve rassegnare a passeggiare con i diavoli.
Come detto dal loro capo Malacoda, i demoni devono pattuggliare la pece bollente, per controllare che nessun dannato ne esca. Anche Dante guardando la pece vede i dannati che escono con la schiena, come i delfini, o con la faccia, come le ranocchie (da notare il continuo riferimento a similitudini animalesche, indice della bestialità di questi dannati – Dante era infatti particolarmente avverso ai peccati che riguardavano il denaro – e dello stile comico), le quali si affacciano dall’acqua sugli stagni, ma appena vedono un serpente si rituffano tutte. Così facevano i dannati, sempre pronti a beffarsi dei diavoli in un continuo gioco di astuzie e furberie contrapposte, diametralmente opposto, per esempio, all’episodio dei centauri (Canto XII), dove nessun dannato pare sognarsi minimamente l’idea di uscire dal sangue bollente del Flegetonte.
[bibl]Inferno – Canto ventiduesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ventiduesimo&oldid=40809762 (in data 14 novembre 2011).[/bibl]