Canto XXIV Inferno – (vv 64-96 ) – La bolgia dei ladri
Testo e commento del Canto XXIV dell’Inferno (versi 64-96)-La bolgia dei ladri
Parlando andava per non parer fievole; onde una voce uscì de l’altro fosso, a parole formar disconvenevole. 66 Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso fossi de l’arco già che varca quivi; ma chi parlava ad ire parea mosso. 69 Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi non poteano ire al fondo per lo scuro; per ch’io: "Maestro, fa che tu arrivi 72 da l’altro cinghio e dismontiam lo muro; ché, com’i’ odo quinci e non intendo, così giù veggio e neente affiguro". 75 "Altra risposta", disse, "non ti rendo se non lo far; ché la dimanda onesta si de’ seguir con l’opera tacendo". 78 Noi discendemmo il ponte da la testa dove s’aggiugne con l’ottava ripa, e poi mi fu la bolgia manifesta: 81 e vidivi entro terribile stipa di serpenti, e di sì diversa mena che la memoria il sangue ancor mi scipa. 84 Più non si vanti Libia con sua rena; ché se chelidri, iaculi e faree produce, e cencri con anfisibena, 87 né tante pestilenzie né sì ree mostrò già mai con tutta l’Etïopia né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe. 90 Tra questa cruda e tristissima copia corrëan genti nude e spaventate, sanza sperar pertugio o elitropia: 93 con serpi le man dietro avean legate; quelle ficcavan per le ren la coda e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate. 96
Mentre Dante sta ancora parlando per nascondere la sua stanchezza, i due poeti sono nel frattempo saliti sul ponte sulla bolgia successiva, la settima, e Dante sente una voce “a parole formar disconvenevole” (v. 66), cioè non adatta a formar parole, che, pur non capendo cosa dica, gli sembra molto arrabbiata: il poeta si sporge dal dosso dell’arco del ponte per guardare giù, ma per il buio non riesce a vedere niente, quindi propone a Virgilio di proseguire fino all’argine più interno (“l’altro cinghio”) e di scendere dal ponte sull’argine stesso, al che il poeta acconsente con una perifrasi retorica (in parafrasi: “Altro non ti rispondo se non con l’agire, perché a una domanda onesta si deve rispondere tacendo ed eseguendo l’opera richiesta”).
Essi scendono dunque dalla testata del ponte, dove questa si congiunge con l’ottavo argine (“ottava ripa”), e Dante vede uno scenario raccapricciante che, a differenza della dolente staticità del precedente, è dominato da un frenetico movimento, causato dalla “terribile stipa” di serpenti (in realtà si scopre presto che sono piuttosto rettili vari), di diversa specie (“diversa mena”), la cui memoria guasta (“scipa”) ancora il sangue a Dante (come si vedrà nel canto successivo, queste stesse serpi che l’hanno inorridito diverranno per lui “serpi amiche”).
E Dante attacca citando abbastanza fedelmente La Pharsalia di Lucano: vi erano chelidri (che Lucano, non Dante, descrive come striscianti su una scia di fumo), iaculi (che volano come giavellotti), faree (che strisciano contorcendosi con la testa eretta), cencri (con il ventre punteggiato, che strisciano dritti) e anfisbene (che hanno due teste, una per estremità). Libia (intesa genericamente come deserto del Sahara), Etiopia e Arabia (ciò che sta sopra al Mar Rosso) non possono vantare altrettanta ricchezza di serpenti, che Dante si compiace di elencare con fare dotto.
Tra i rettili corrono “genti nude e spaventate”, che non hanno speranza di trovare né un nascondiglio (“pertugio”) né l’elitropia, pietra cui un tempo si attribuiva il potere di rendere invisibile chi la portava addosso. Essi hanno le mani legate dietro alla schiena dai serpenti, che poi passavano la coda e il capo lungo le reni dei dannati e le annodavano davanti cingendo loro il ventre (“con serpi le man dietro avean legate; / quelle ficcavan per le ren la coda / e ‘l capo, ed eran dinanzi aggroppate.”, v. 94-96).
Poco più avanti Dante dirà che si tratta dei ladri, che, a differenza dei predoni puniti nel primo girone del VII cerchio nel sangue bollente del Flegetonte (Canto XII), non sono violenti, ma hanno depredato gli altri con l’inganno e l’astuzia, colpa ben più grave di quella dei rapinatori secondo la logica dell’inferno dantesco, che agli strati più bassi fa corrispondere i peccati più gravi.
[biblInferno – Canto ventiquattresimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ventiquattresimo&oldid=44928502 (in data 16 novembre 2011).[/bibl]