Canto III Purgatorio – (vv 46-102) – Gli scomunicati

Testo e commento del Canto III del Purgatorio (versi 46-102)- Gli scomunicati

Noi divenimmo intanto a piè del monte;
quivi trovammo la roccia sì erta,
che ’ndarno vi sarien le gambe pronte. 48

Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta. 51

"Or chi sa da qual man la costa cala",
disse ’l maestro mio fermando ’l passo,
"sì che possa salir chi va sanz’ala?". 54

E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso
essaminava del cammin la mente,
e io mirava suso intorno al sasso, 57

da man sinistra m’apparì una gente
d’anime, che movieno i piè ver’ noi,
e non pareva, sì venïan lente. 60

"Leva", diss’io, "maestro, li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne darà consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi". 63

Guardò allora, e con libero piglio
rispuose: "Andiamo in là, ch’ei vegnon piano;
e tu ferma la spene, dolce figlio". 66

Ancora era quel popol di lontano,
i’ dico dopo i nostri mille passi,
quanto un buon gittator trarria con mano, 69

quando si strinser tutti ai duri massi
de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti
com’a guardar, chi va dubbiando, stassi. 72

"O ben finiti, o già spiriti eletti",
Virgilio incominciò, "per quella pace
ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti, 75

ditene dove la montagna giace,
sì che possibil sia l’andare in suso;
ché perder tempo a chi più sa più spiace". 78

Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l'altre stanno
timidette atterrando l'occhio e 'l muso; 81

e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
semplici e quete, e lo ’mperché non sanno; 84

sì vid’io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
pudica in faccia e ne l’andare onesta. 87

Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
sì che l’ombra era da me a la grotta, 90

restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
non sappiendo ’l perché, fenno altrettanto. 93

"Sanza vostra domanda io vi confesso
che questo è corpo uman che voi vedete;
per che ’l lume del sole in terra è fesso. 96

Non vi maravigliate, ma credete
che non sanza virtù che da ciel vegna
cerchi di soverchiar questa parete". 99

Così ’l maestro; e quella gente degna
"Tornate", disse, "intrate innanzi dunque",
coi dossi de le man faccendo insegna. 102


Dante e Virgilio arrivano finalmente alla montagna del purgatorio. Il problema è che è troppo ripida, così ripida che in confronto ad essa i dirupi più scoscesi d’Europa (che si trovavano in Liguria e nell’Appennino emiliano) sembrano delle scale facili da salire. Impossibilitati a salire Dante e Virgilio provano a trovare una soluzione. Virgilio prova con la sua ragione e volge gli occhi verso il basso mentre Dante guarda verso l’alto e scorge delle anime di penitenti. Dice al maestro che se non riesce a trovare una soluzione da solo forse è meglio chiedere alle anime dove la salita è meno ripida. Virgilio e Dante si dirigono verso le anime che il Dante narratore paragona a un gregge. Questo “gregge” va molto lento e si trovava a una grande distanza dai poeti. Dante scopre che queste anime sono gli scomunicati.
Si può notare in questa parte del canto come il ruolo di Virgilio quale guida per il pellegrino Dante venga a mancare. In effetti, ora il poeta latino si trova in un luogo che non ha mai visitato, a causa della sua pena divina (il restare nel Limbo). Sul piano allegorico,la Ragione, rappresentata da Virgilio, man mano che si avvicina a Dio, si smarrisce sempre più, poiché essa non è stata creata per comprendere il suo mistero (che, secondo Dante, è comprensibile solo per via diretta tramite l’estasi mistica, che proverà infatti nell’ultimo canto del Paradiso). L’azione giusta da compiere per avvicinarsi a Dio, quindi, non è il ragionare a testa bassa come fa Virgilio, bensì guardare verso l’alto, verso l’amore divino.

[/bibl] Purgatorio – Canto terzo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Purgatorio_-_Canto_terzo&oldid=44318511 (in data 20 novembre 2011).[/bibl].

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