Canto IV Inferno – (vv 1 – 63) – Il Limbo

Testo e commento del Canto IV dell’Inferno (versi 1-63) – Il Limbo

Ruppemi l’alto sonno ne la testa
un greve truono, sì ch’io mi riscossi
come persona ch’è per forza desta; 3

e l’occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov’io fossi. 6

Vero è che ’n su la proda mi trovai
de la valle d’abisso dolorosa
che ’ntrono accoglie d’infiniti guai. 9

Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa. 12

"Or discendiam qua giù nel cieco mondo",
cominciò il poeta tutto smorto.
"Io sarò primo, e tu sarai secondo". 15

E io, che del color mi fui accorto,
dissi: "Come verrò, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto?". 18

Ed elli a me: "L’angoscia de le genti
che son qua giù, nel viso mi dipigne
quella pietà che tu per tema senti. 21

Andiam, ché la via lunga ne sospigne".
Così si mise e così mi fé intrare
nel primo cerchio che l’abisso cigne. 24

Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto mai che di sospiri
che l’aura etterna facevan tremare; 27

ciò avvenia di duol sanza martìri,
ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,
d’infanti e di femmine e di viri. 30

Lo buon maestro a me: "Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, 33

ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
non basta, perché non ebber battesmo,
ch’è porta de la fede che tu credi; 36

e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
e di questi cotai son io medesmo. 39

Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi
che sanza speme vivemo in disio". 42

Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi,
però che gente di molto valore
conobbi che ’n quel limbo eran sospesi. 45

"Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore",
comincia’ io per volere esser certo
di quella fede che vince ogne errore: 48

"uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?".
E quei che ’ntese il mio parlar coverto, 51

rispuose: "Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato. 54

Trasseci l’ombra del primo parente,
d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
di Moïsè legista e ubidente; 57

Abraàm patrïarca e Davìd re,
Israèl con lo padre e co’ suoi nati
e con Rachele, per cui tanto fé, 60

e altri molti, e feceli beati.
E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
spiriti umani non eran salvati". 63


Dopo lo svenimento di Dante causato da un fulmine vermiglio davanti all’Acheronte, il poeta si sveglia a inizio del nuovo canto al rumore del tuono sovrannaturalmente portato dall’altra parte del fiume: con quest’evento prodigioso egli supera l’ostacolo della condizione di Caronte di non far salire mai anima viva sulla sua barca.
Dante si sente confortato, si guarda attorno, e si accorge di essere sulla nuova sponda degli infiniti guai, cioè dei lamenti eterni. L’aria era Oscura e profonda e nebulosa, quindi per quanto egli cercasse di scorgere con gli occhi non poteva vedere niente in particolare: è l’oscurità dell’Inferno, dove il sole non batte mai. Virgilio infatti chiama quel luogo il cieco mondo, e si appresta a iniziare il viaggio lui per primo e Dante dietro.
Virgilio però è tutto smorto e Dante, preoccupato per questo colorito, ne chiede la ragione: Virgilio spiega che ciò è dovuto alla sua angoscia (intesa come “tristezza”), di dover entrare nell’Inferno, e in particolare, nonostante non lo specifichi, nel Limbo, il luogo della sua pena.
I due entrano così nel primo cerchio e Dante registra subito un dato auditivo: non sente pianti ma solo sospiri, che fanno tremare l’aria etterna (molte volte si insiste sull’eternità in questa prima parte dell’inferno), per via del dolore che non è provocato da pene fisiche (martiri), in quelle schiere d’infanti e di femmine e di viri.
È il Limbo, dal latino “limbus” orlo, dove sono tenuti coloro che non ebbero peccati, se non quello originale di non essere stati battezzati: vi si trovano quindi i bambini nati morti, le persone rette nate prima della venuta di Cristo e quelle che per varie ragioni non ebbero modo di conoscere il suo messaggio (Dante nominerà anche tre musulmani); inoltre vi erano tenuti gli ebrei nell’attesa della venuta di Cristo, i quali furono liberati da Gesù durante la sua discesa agli Inferi. Quindi, in contrasto alla dottrina dei padri della chiesa, in particolare di San Tommaso d’Aquino, che affermava che nel limbo risiedessero solo i bambini morti senza battesimo, Dante racconta che nel limbo vi erano tutte le persone rette, ma non battezzate.
Virgilio inizia allora a spiegare che lì si trovano coloro che non peccarono ma, per quanti meriti (mercedi) avessero, essi non ebbero battesimo verso la porta della fede: Virgilio stesso è tra questi e si sente perduto come gli altri perché sanza speme vivemo in disio, cioè deve vivere senza la speranza di vedere Dio, in un continuo desiderio e rimpianto.
Dante è toccato da questa confessione e chiede a Virgilio se di lì sia mai uscito qualcuno per i suoi meriti e collocato tra i beati; Virgilio allora racconta come, quand’era da poco in quello stato, vide venire Cristo (mai nominato nell’Inferno e qui citato come un possente, / con segno di vittoria coronato, / alto fattore, / nemico di tutti i mali), che portò via gli ebrei dell’Antico Testamento, in particolare tutti coloro che si affidarono nelle mani di Dio (Abramo, Noè, Mosè… etc). Tale episodio viene preso dal vangelo di Nicodemo.
Virgilio elenca:
Adamo (il primo parente)
Abele
Mosè
Noè
Abramo
Re Davide
Giacobbe (detto Israel)
Isacco (padre di Giacobbe)
I dodici figli di Giacobbe
Rachele, sua moglie che tanto gli costò (quattordici anni di servizio presso il suocero)
altri molti (cioè tutti coloro che credettero nella venuta di Cristo).
Essi, spiega Virgilio, furono i primi uomini ad essere salvati.

[bibl]Inferno – Canto quarto, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_quarto&oldid=40034652 (in data 6 novembre 2011).[/bibl]

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