Canto XIV Inferno – (vv 94-120) – Il Veglio di Creta

Testo e commento del Canto XIV dell’Inferno (versi 94-120) – Il Veglio di Creta

"In mezzo mar siede un paese guasto",
diss’elli allora, "che s’appella Creta,
sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto. 96

Una montagna v’è che già fu lieta
d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
or è diserta come cosa vieta. 99

Rëa la scelse già per cuna fida
del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
quando piangea, vi facea far le grida. 102

Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
che tien volte le spalle inver’ Dammiata
e Roma guarda come süo speglio. 105

La sua testa è di fin oro formata,
e puro argento son le braccia e ’l petto,
poi è di rame infino a la forcata; 108

da indi in giuso è tutto ferro eletto,
salvo che ’l destro piede è terra cotta;
e sta ’n su quel, più che ’n su l’altro, eretto. 111

Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
d’una fessura che lagrime goccia,
le quali, accolte, fóran quella grotta. 114

Lor corso in questa valle si diroccia;
fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
poi sen van giù per questa stretta doccia, 117

infin, là ove più non si dismonta,
fanno Cocito; e qual sia quello stagno
tu lo vedrai, però qui non si conta". 120


L’allegoria del cosiddetto “Veglio di Creta” è tra le più complesse del poema. La sua collocazione nel canto è quella di spiegare l’origine dei fiumi infernali.

Innanzitutto Virgilio comincia a descrivere l’Isola di Creta:

«”In mezzo mar siede un paese guasto”,
diss’elli allora, “che s’appella Creta,
sotto ‘l cui rege fu già ‘l mondo casto.

Una montagna v’è che già fu lieta
d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
or è diserta come cosa vieta.
“”In mezzo al mare esiste un regno in
rovina” disse lui (Virgilio), “che si chiama Creta
sotto il cui primo mitico re (Saturno)
ci fu l’età dell’oro.

Lì c’è una montagna che fu ricca d’acqua e
di vegetazione che si chiama Ida
che ora è deserta come una cosa vecchia.”

La distesa dei violenti contro natura, Dante e Virgilio, da basso nel bosco, indicano il Veglio di Creta sulla destra (manoscritto dell’Anonimo veneto, fine del XIV secolo)
Creta era il luogo della mitica nascita di Zeus, come Virgilio ricorda nella terzina successiva: Rhea o Cibele la scelse come culla affidabile per il figlio e per nasconderlo meglio da Crono, il padre che per via di una profezia su un figlio che l’avrebbe spodestato mangiava tutta la prole, ella chiese ai Coribanti, suoi devoti, di coprire i vagiti del bambino con le loro grida.
Dentro questo monte quindi, prosegue il poeta latino, sta in piedi un “veglio”, una statua colossale di vecchio, che dà le spalle a Damietta (all’Egitto), e guarda verso Roma specchiandosi.
Da questi primi elementi apprendiamo il perché della scelta di Creta come luogo simbolico: essa veniva considerata patria della civiltà e luogo di origine del divino; era a metà strada tra Oriente, sede dei primordi della civilizzazione, e Roma, centro del mondo latino attuale, secondo Dante.
Segue una descrizione del veglio, ripresa abbastanza fedelmente dal passo biblico del sogno di Nabucodonosor, contenuto in Daniele II 31-33. Questo essere ha la testa di oro fino, le braccia e il petto d’argento e il busto fino all’inguine (la “forcata” intesa come biforcatura delle gambe) di rame. Le gambe sono di ferro, compreso il piede sinistro, mentre quello destro è di terracotta e proprio su questo piede più fragile esso si appoggia di più.
Da ogni parte, tranne che da quella d’oro, si aprono fessure che gocciolano lacrime, che raccolgono poi e escono dalla grotta sotto forma di fiume. Questo fiume poi scende roccia per roccia e forma l’Acheronte, lo Stige e il Flegetonte; poi scendono ancora e confluiscono nel Cocito, dove più non si può scendere (Dante immagina lì il centro della terra). Virgilio conclude dicendo che più avanti vedrà quello stagno, ma non ne vuole parlare ora. Rispetto a Daniele i piedi sono differenziati, mentre nella bibbia sono un amalgama di pietra e ferro, che colpiti da una pietra staccatasi da sé, si rompono e fanno franare tutta la statua. Non c’è traccia delle crepe che sgrondano il pianto ininterrotto.
La spiegazione di questo complesso sistema di simboli è quella derivata dalla tradizione biblica: le varie sezioni del Veglio rappresenterebbero le epoche della civilizzazione. Da un’epoca aurea, da dove non sgorgano lacrime, cioè priva del peccato (cioè di peccatori che piangano), si passa a regni via via meno virtuosi e più fragili, fino ai due piedi che rappresenterebbero l’epoca contemporanea. La loro divisione sarebbe quella tipica del mondo dantesco tra potere papale e imperiale: L’Impero sarebbe il piede di ferro, ancora forte ma poco presente, perché ormai ci si appoggiava più all’altro piede, quello del papato, più debole perché d’argilla, ma più potente. Il vecchio, corrotto da innumerevoli fratture si specchierebbe in Roma, anch’essa dominata dalla corruzione.
Secondo un’altra interpretazione più “filosofica”, legata all’Etica di Aristotele, il Veglio rappresenterebbe la decadenza dell’anima di ogni essere umano, con la testa d’oro simboleggiante il libero arbitrio e con le altre sezioni più o meno deteriorate dal peccato che sarebbero le varie facoltà psichiche. Le lacrime avrebbero anche una funzione iniziatica perché con la loro evaporazione spegnerebbero le fiamme del girone permettendo il passaggio del pellegrino Dante. In definitiva quindi il pianto del veglio sarebbe come un’allegoria del peccato, che nasce dagli uomini e punisce gli uomini stessi attraverso i fiumi infernali.

[bibl]Inferno – Canto quattordicesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_quattordicesimo&oldid=44351243 (in data 11 novembre 2011).[/bibl]

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