Canto XV Inferno – (vv 1-21) – I sodomiti
Testo e commento del Canto XV dell’Inferno (versi 1-21) – I sodomiti
Ora cen porta l’un de’ duri margini; e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia, sì che dal foco salva l’acqua e li argini. 3 Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, temendo ’l fiotto che ’nver’ lor s’avventa, fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia; 6 e quali Padoan lungo la Brenta, per difender lor ville e lor castelli, anzi che Carentana il caldo senta: 9 a tale imagine eran fatti quelli, tutto che né sì alti né sì grossi, qual che si fosse, lo maestro félli. 12 Già eravam da la selva rimossi tanto, ch’i’ non avrei visto dov’era, perch’io in dietro rivolto mi fossi, 15 quando incontrammo d’anime una schiera che venian lungo l’argine, e ciascuna ci riguardava come suol da sera 18 guardare uno altro sotto nuova luna; e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia come ’l vecchio sartor fa ne la cruna. 21
Dante e Virgilio stanno camminando su uno dei due argini di pietra del fiume Flegetonte, unica zona del girone a non essere tormentata dalle fiamme del terzo girone del VII cerchio, quello dei violenti contro Dio e contro la natura. I vapori che il fiume sprigiona infatti spengono le fiammelle. Per descrivere gli argini Dante li paragona a quelli dei fiamminghi tra Wissant e Bruges, italianizzati come Guizzante e Bruggia (non a caso forse due nomi che evocano il concetto di fiamma), e a quelli che i padovani hanno per difendere le loro città (“ville”) e castelli dalle piene del Brenta quando dalla Carinzia (“Carentana”, intesa però come tutte le Alpi Carniche) si sciolgono le nevi per il caldo; e il poeta sottilinea che però gli argini infernali non sono grandi.
Dopo aver visto un bestemmiatore nel canto precedente (Capaneo), questo e il prossimo canto sono dedicati ai sodomiti cioè coloro che ebbero rapporti “contro natura”. Essi corrono nudi senza sosta sul “sabbione” infuocato e sono i peccatori più numerosi del girone (Inf. XIV, v.25). Essi però sono anche i meno empi perché Dante dice che il contatto con il suolo infuocato è la condizione più dolorosa perché corrispondente a colpe più gravi (dei bestemmiatori e degli usurai, rispettivamente sdraiati e seduti). La sodomia era proverbialmente diffusa a Firenze (basti pensare che in tedesco il termine che indica i sodomiti è Florenzen e il verbo zu florenzen significa “sodomizzare”) e in questo girone Dante incontrerà per due volte dei concittadini con cui avrà un colloquio. In ogni caso il “peccato” va considerato nella più ampia delle concezioni: non soltanto rapporti omosessuali, ma anche eterosessuali, e non vi era distinzione tra chi vi prendeva parte attivamente o passivamente (in questo senso anche una donna, se accondiscendente, poteva essere accusata di sodomia).
Comunque durante tutti e tre i canti dedicati a questo girone non si fa mai menzione del peccato di sodomia: per sapere di cosa siano condannati questi peccatori si deve ritornare all’XI canto dove, durante la generale spiegazione dell’Inferno, si parla al verso 50 di “Soddoma”.
Nel frattempo Dante e Virgilio si sono incamminati sugli argini lasciandosi indietro la selva dei suicidi (Dante dice che se anche si fosse girato non l’avrebbe potuta più scorgere, sia per l’aria tenebrosa dell’inferno che per il “fummo”, il denso vapore). Le anime che vanno a schiera guardano i due poeti, alti sull’argine, come si guarda la luna nuova (questo però non concorda con i versetti 18-19 “ci riguardava come suol da sera / guardare uno altro sotto nuova luna;”, dove l’oggetto del guardare non è “nuova luna”, ma “altro”), cioè stringendo gli occhi per la poca luce, come anche – seconda similitudine – fa il vecchio sarto per infilare la cruna dell’ago. Un’interpretazione più rispettosa del testo parte dall’osservazione che ai tempi di Dante, quando non esisteva l’illuminazione pubblica, nelle vie delle città ci si vedeva solo nelle nottate di luna luminosa. Quando invece si era in fase di novilunio (“sotto nuova luna”, v. 19), con la luna che non si scorgeva affatto o appariva come una sottilissima falce all’orizzonte, per vederci era necessario aguzzare lo sguardo stringendo le palpebre (“ciglia”, v. 20), come faceva il vecchio sarto presbite per far passare il filo nella cruna dell’ago: “ci riguardava come suol da sera / guardare uno altro sotto nuova luna; / e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia / come ‘l vecchio sartor fa ne la cruna.” (vv.18-21).
[bibl]Inferno – Canto quindicesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_quindicesimo&oldid=40365213 (in data 11 novembre 2011).[/bibl]