Canto XVII Inferno – (vv 79-136) – Discesa all’ottavo cerchio

Testo e commento del Canto XVII dell’Inferno (versi 79-136)- Discesa all’ottavo cerchio

Trova’ il duca mio ch’era salito
già su la groppa del fiero animale,
e disse a me: "Or sie forte e ardito. 81

Omai si scende per sì fatte scale;
monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,
sì che la coda non possa far male". 84

Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo
de la quartana, c’ ha già l’unghie smorte,
e triema tutto pur guardando ’l rezzo, 87

tal divenn’io a le parole porte;
ma vergogna mi fé le sue minacce,
che innanzi a buon segnor fa servo forte. 90

I’ m’assettai in su quelle spallacce;
sì volli dir, ma la voce non venne
com’io credetti: ’Fa che tu m’abbracce’. 93

Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne
ad altro forse, tosto ch’i’ montai
con le braccia m’avvinse e mi sostenne; 96

e disse: "Gerïon, moviti omai:
le rote larghe, e lo scender sia poco;
pensa la nova soma che tu hai". 99

Come la navicella esce di loco
in dietro in dietro, sì quindi si tolse;
e poi ch’al tutto si sentì a gioco, 102

là ’v’era ’l petto, la coda rivolse,
e quella tesa, come anguilla, mosse,
e con le branche l’aere a sé raccolse. 105

Maggior paura non credo che fosse
quando Fetonte abbandonò li freni,
per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse; 108

né quando Icaro misero le reni
sentì spennar per la scaldata cera,
gridando il padre a lui "Mala via tieni!", 111

che fu la mia, quando vidi ch’i’ era
ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta
ogne veduta fuor che de la fera. 114

Ella sen va notando lenta lenta;
rota e discende, ma non me n’accorgo
se non che al viso e di sotto mi venta. 117

Io sentia già da la man destra il gorgo
far sotto noi un orribile scroscio,
per che con li occhi ’n giù la testa sporgo. 120

Allor fu’ io più timido a lo stoscio,
però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti;
ond’io tremando tutto mi raccoscio. 123

E vidi poi, ché nol vedea davanti,
lo scendere e ’l girar per li gran mali
che s’appressavan da diversi canti. 126

Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali,
che sanza veder logoro o uccello
fa dire al falconiere "Omè, tu cali!", 129

discende lasso onde si move isnello,
per cento rote, e da lunge si pone
dal suo maestro, disdegnoso e fello; 132

così ne puose al fondo Gerïone
al piè al piè de la stagliata rocca,
e, discarcate le nostre persone, 135

si dileguò come da corda cocca.


Il poeta latino è già salito sulla bestia fiera e sprona Dante a fare altrettanto. Gli suggerisce però che Virgilio stia dietro per interporsi rispetto alla pericolosa coda avvelenata. Dante al solo pensiero raggela come colui che ha i brividi della febbre quartana e trema tutto al solo vedere l’ombra (il rezzo), ma vergognandosi della sua paura davanti al maestro sale come gli è stato detto. Sedendosi “in su quelle spallacce” egli vorrebbe dire a Virgilio di abbracciarlo da dietro, ma il solo pensiero basta alla sua guida per avvincerlo da dietro. Quindi Virgilio intima: ” Gerione (ecco che il nome della belva viene pronunciato per la prima volta), parti! E fai curve larghe scendendo poco per volta, pensando a quesa nuova soma che porti” (parafrasi vv. 97-99).
Il mostro prima di partire arretra, come la navicella che esce dal porto e poi inizia il volo, magistralmente descritto con incredibile realismo dai versi di Dante:
« Poi si girò e mosse
la coda tesa, ora come un’anguilla,
prendendo l’aria con le zampe. Non credo
che Fetonte ebbe maggior
paura di me, quando egli abbandonò i
freni del carro del sole e finì per
incendiare il cielo; né Icaro quando
sentì sciogliersi la cera delle
ali dai fianchi mentre suo padre
Dedalo gli diceva che stava seguendo
la via sbagliata: altrettanto fu
grande la mia paura quando mi ritrovai
circondato dall’aria e non potei
vedere nient’altro che la bestia.
Essa se ne andava nuotando lenta lenta,
facendo grandi cerchi per discendere,
tanto che non mi accorgerei nemmeno
del dislivelo se non fosse per il vento

che mi colpisce nella parte inferiore del viso. »
(vv. 103-117)
Via via che Dante si avvicina al fondo i sensi tornano a farsi presenti: sente il suono della cascata e poi ha anche il coraggio di sporgere la testa per vedere i fuochi dei gironi sottostanti e sentendo i nuovi pianti ha un fremito che lo fa aggrappare di nuovo stretto alla bestia. Di nuovo vede i cerchi inferiori (le bolge…). Come quel falcone che ha volato molto senza trovare nessuna preda e viene richiamato giù dal falconiere, scendendo stanco e facendo velocemente cento giri atterrando sdegnosamente lontano dal maestro, così atterrò Gerione in fondo al precipizio (“la stagliata rocca”) e dopo aver scaricato i due si dilegua come freccia spinta dalla corda dell’arco, come da corda cocca.
[bibl]Inferno – Canto diciassettesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_diciassettesimo&oldid=41547318 (in data 11 novembre 2011).[/bibl]

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