Canto XVIII Inferno – (vv 100-126) – Adulatori: Interminelli

Testo e commento del Canto XVIII dell’Inferno (versi 100-126)- Adulatori: Alessio Interminelli

Già eravam là ’ve lo stretto calle
con l’argine secondo s’incrocicchia,
e fa di quello ad un altr’arco spalle. 102

Quindi sentimmo gente che si nicchia
ne l’altra bolgia e che col muso scuffa,
e sé medesma con le palme picchia. 105

Le ripe eran grommate d’una muffa,
per l’alito di giù che vi s’appasta,
che con li occhi e col naso facea zuffa. 108

Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
loco a veder sanza montare al dosso
de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta. 111

Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco
che da li uman privadi parea mosso. 114

E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,
vidi un col capo sì di merda lordo,
che non parëa s’era laico o cherco. 117

Quei mi sgridò: "Perché se’ tu sì gordo
di riguardar più me che li altri brutti?".
E io a lui: "Perché, se ben ricordo, 120

già t’ ho veduto coi capelli asciutti,
e se’ Alessio Interminei da Lucca:
però t’adocchio più che li altri tutti". 123

Ed elli allor, battendosi la zucca:
"Qua giù m’ hanno sommerso le lusinghe
ond’io non ebbi mai la lingua stucca". 126


In questo canto la narrazione procede spedita e già i due poeti entrano nella bolgia successiva. Qui innanzitutto Dante inizia a cambiare registro del linguaggio, abbassandolo al livello del dialetto popolare più basso, con rime create da doppie consonanti racchiuse da vocali, come -uffa, -icchia, -osso, -utti, -ucca, suoni duri, allitterazioni e scelte di vocaboli bisillabici e spesso “volgari” nel senso più dispregiativo (merdose, puttaneggiare). La poesia in questo canto, a volte criticata e minimizzata nell’Ottocento, raggiunge vertici di vitalità e plasticità che oggi godono di notevole credito nella critica. Dante dopotutto, “battezzando” il volgare italiano nella prima grande opera scritta in questa lingua, voleva esplorare, e ci riuscì con successo duraturo, tutte le possibilità delle sue applicazioni, dal più basso linguaggio scurrile alla descrizione dei più alti temi angelici e teologici del Paradiso: si sono già incontrati passi dove egli modificava la scelta dei vocaboli, la sintassi e lo stile a seconda del personaggio con il quale dialogava, come negli episodi di Pier della Vigna e Brunetto Latini. Inoltre in questo canto Dante esplora il linguaggio e lo stile comico (per così dire), con situazioni che sembrano trasposizioni immediate della lingua parlata nello scritto.
Dante quindi inizia a descrivere i dannati che si nicchia, si rannicchiano, e che scuffano col muso, cioè sbuffano, e si picchiano con le loro stesse mani. Le pareti del fosso sono coperte da muffa per i vaporacci che vi si “appastano” dal fondo, dove è così buio che Dante deve salire proprio sopra, sul ponticello, per vedere qualcosa. Solo allora riconosce la gente tuffata nello sterco, che pareva provenire da tutte le latrine del mondo (privadi, francesismo per indicare le latrine). Dante scruta e vede uno che ha il capo “sì di merda lordo” che non si capiva nemmeno come avesse i capelli, se normali da laico o con la chierica se religioso. E il dannato gli si rivolge insolentemente: “Perché se’ tu sì gordo / di riguardar più me che li altri brutti?” (vv. 118-119), al quale Dante risponde che lo fissa “Perché, se ben ricordo / già t’ ho veduto coi capelli asciutti, / e se’ Alessio Interminei da Lucca” (vv. 120-122). Anche qui un dannato di nuovo descritto con tono infamante e con la menzione completa del nome, per non lasciare dubbi. Il dannato dice solo che si trova lì per via di tutte le lusinghe che disse, delle quali la sua bocca non si “stuccò” mai, cioè non fu mai stanca. Apprendiamo così di essere nella bolgia dedicata agli adulatori. Viene così a delinearsi anche il contrappasso, sebbene anche in questo caso la pena abbia più un senso di infamia che di punizione dolorosa. Basti pensare come oggi si indichino volgarmente gli adulatori come “leccaculo” per capire una possibile connessione con gli escrementi.
Curiosamente la gerarchia di peccati sempre più gravi via via che Dante si avvicina al centro dell’Inferno è qui ben lontana dai nostri canoni moderni: un adulatore sarebbe più reo di un omicida o di un tiranno secondo la logica dantesca per esempio. Nelle Malebolge in particolare questa regola della gravità dei peccati sarà contraddetta da Dante stesso (per esempio metterà gli odiati simoniaci ben prima di altri peccatori ordinari come i barattieri o i falsari, per questo da alcuni commentatori è stato opinato il fatto che questa regola non sia seguita perché le Malebolge si troverebbero sostanzialmente in pianura o quasi, quindi tutti i dannati puniti sarebbero da considerarsi a pari livello).

[bibl]Inferno – Canto diciottesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_diciottesimo&oldid=38300805 (in data 11 novembre 2011).[/bibl]

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