Canto XX Inferno- (vv 1-30) -Gli indovini
Testo e commento del Canto XX dell’Inferno (versi 1-30)-Gli indovini
Di nova pena mi conven far versi e dar matera al ventesimo canto de la prima canzon, ch’è d’i sommersi. 3 Io era già disposto tutto quanto a riguardar ne lo scoperto fondo, che si bagnava d’angoscioso pianto; 6 e vidi gente per lo vallon tondo venir, tacendo e lagrimando, al passo che fanno le letane in questo mondo. 9 Come ’l viso mi scese in lor più basso, mirabilmente apparve esser travolto ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso, 12 ché da le reni era tornato ’l volto, e in dietro venir li convenia, perché ’l veder dinanzi era lor tolto. 15 Forse per forza già di parlasia si travolse così alcun del tutto; ma io nol vidi, né credo che sia. 18 Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto di tua lezione, or pensa per te stesso com'io potea tener lo viso asciutto, 21 quando la nostra imagine di presso vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi le natiche bagnava per lo fesso. 24 Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi del duro scoglio, sì che la mia scorta mi disse: "Ancor se' tu de li altri sciocchi? 27 Qui vive la pietà quand’è ben morta; chi è più scellerato che colui che al giudicio divin passion comporta? 30
Dante inizia col dire che deve dare forma ai versi per queste nuove pene dei dannati (i sommersi) che sono la materia del ventesimo canto della prima canzone: sappiamo così che l’Alighieri stesso usava questi termini “musicali” per iindicare rispettivamente i capitoli e i libri della sua “Comedìa”. “Canto” si è mantenuto anche nei commentatori (è usato anche dai traduttori anglosassoni, per esempio), mentre la “canzone” oggi si indica generalmente come “cantica”.
Dante e Virgilio stanno percorrendo le Malebolge, ovvero quei 10 fossati, simili a quelli dei castelli medievali, nei quali sono punite le varie categorie dei fraudolenti, cioè coloro che tradirono il prossimo che sarebbe stato portato a non fidarsi (a differenza dei traditori veri e propri che ingannarono chi di loro si fidava per parentela, amicizia o altri legami sociali).
Il poeta pellegrino si affaccia quindi alla nuova bolgia dal ponticello che sta attraversando, e la vede bagnata del pianto dei dannati. Nota la gente che silenziosa e piangente va al passo delle processioni (delle “letane”) per il “vallon tondo”.
Solo dopo aver guardato meglio si accorge che ognuno ha il collo (“tra ‘l mento e ‘l principio del casso”, del busto cioè) e il viso girati dalla parte delle reni. Essi devono quindi camminare all’indietro perché non possono guardare avanti: Dante dice che forse alcuni casi di paralisi (“parlasìa”) possono provocare tali danni, ma lui non ha mai assistito a casi simili e non crede che sia possibile. Rivolgendosi direttamente al lettore, ci dice come una tale visione del nostro corpo umano tanto mostruosa fosse tale da non permettergli di tenere gli occhi asciutti, così piange per pietà verso questi esseri sfregiati, il cui pianto gocciola giù nella fessura tra le natiche, immagine grottesca e umiliante.
Virgilio riprende severamente Dante che sta lacrimando appoggiato a una roccia (“a un de’ rocchi”) e gli dà dello sciocco. La pietà qui all’Inferno è morta, non serve disperarsi per i dannati. Il senso dei due versi successivi è ambiguo, in particolare sul significato da dare a “passion”.
« Chi è più scellerato che colui che al giudicio divin passion comporta? »
(vv. 29-30)
Le due possibili letture sono:
Chi è più scellerato di colui che ha pietà per coloro che sono condannati dal giudizio divino?
Chi è più scellerato di colui che cerca di piegare (portare passione) il giudizio divino (sottinteso con magie e artifici)?
La maggiore frequenza con la quale si incontra passione nel senso di pietà nell’italiano antico fa propendere più commentatori per la prima ipotesi, anche se la seconda si addice meglio ai versi seguenti nei quali Virgilio inizia una carrellata sui peccatori.
[bibl]Inferno – Canto ventesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ventesimo&oldid=38300964 (in data 14 novembre 2011).[/bibl]