Canto XX Inferno- (vv 52-102) -Manto e le origini di Mantova
Testo e commento del Canto XX dell’Inferno (versi 52-102)- Manto e le origini di Mantova
E quella che ricuopre le mammelle, che tu non vedi, con le trecce sciolte, e ha di là ogne pilosa pelle, 54 Manto fu, che cercò per terre molte; poscia si puose là dove nacqu’ io; onde un poco mi piace che m’ascolte. 57 Poscia che ’l padre suo di vita uscìo e venne serva la città di Baco, questa gran tempo per lo mondo gio. 60 Suso in Italia bella giace un laco, a piè de l’Alpe che serra Lamagna sovra Tiralli, c’ ha nome Benaco. 63 Per mille fonti, credo, e più si bagna tra Garda e Val Camonica e Pennino de l’acqua che nel detto laco stagna. 66 Loco è nel mezzo là dove ’l trentino pastore e quel di Brescia e ’l veronese segnar poria, s’e’ fesse quel cammino. 69 Siede Peschiera, bello e forte arnese da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, ove la riva ’ntorno più discese. 72 Ivi convien che tutto quanto caschi ciò che ’n grembo a Benaco star non può, e fassi fiume giù per verdi paschi. 75 Tosto che l’acqua a correr mette co, non più Benaco, ma Mencio si chiama fino a Governol, dove cade in Po. 78 Non molto ha corso, ch’el trova una lama, ne la qual si distende e la ’mpaluda; e suol di state talor esser grama. 81 Quindi passando la vergine cruda vide terra, nel mezzo del pantano, sanza coltura e d’abitanti nuda. 84 Lì, per fuggire ogne consorzio umano, ristette con suoi servi a far sue arti, e visse, e vi lasciò suo corpo vano. 87 Li uomini poi che ’ntorno erano sparti s’accolsero a quel loco, ch’era forte per lo pantan ch’avea da tutte parti. 90 Fer la città sovra quell’ossa morte; e per colei che ’l loco prima elesse, Mantüa l’appellar sanz’altra sorte. 93 Già fuor le genti sue dentro più spesse, prima che la mattia da Casalodi da Pinamonte inganno ricevesse. 96 Però t’assenno che, se tu mai odi originar la mia terra altrimenti, la verità nulla menzogna frodi". 99 E io: "Maestro, i tuoi ragionamenti mi son sì certi e prendon sì mia fede, che li altri mi sarien carboni spenti. 102
La prossima indovina è una delle rare peccatrici collocate nell’Inferno, oltre alle morte d’amore nel girone dei lussuriosi e a Taide. Si tratta di Manto e, anche in questo caso, Virgilio inizia a descriverla dall’aspetto fisico: è quella che ha le mammelle sul dietro (per questo Dante non può vederle) coperte dalle trecce, dove ha anche il pube “piloso”. Manto è la figlia di Tiresia ed è ricordata da Virgilio, Orazio e Stazio. Si dice che vagò per molte terre, infatti la sua leggenda nella Thebais di Stazio racconta come ella dopo la morte del padre a Tebe (“la città di Bacco”) per sfuggire alla tirannia di Creonte, abbia vagato lungamente, prima di fermarsi presso il lago del Mincio, dove sorse Mantova che proprio da lei prenderebbe il proprio nome.
Virgilio coglie l’occasione a questo punto per parlare un po’ di “là dove nacqu’io”, e lo fa con una lunga digressione di quattordici terzine.
Inizia una precisa descrizione geografica: In Italia c’è un lago chiamato Benaco (il Lago di Garda nel suo nome più antico) ai piedi delle Alpi che chiudono la Germania (“Lamania”) con il Tirolo (“Tiralli”); da mille fonti arriva l’acqua che vi stagna tra Garda, la Val Camonica e le Alpi Pennine; al centro di esso c’è un punto che se potessero arrivarci il vescovo di Trento, quello di Brescia e quello di Verona essi avrebbero pari autorità (in effetti esiste un’isola sulla quale le tre diocesi hanno pari autorità, l’Isola di Garda, anche se qui la presenza del verbo condizionale indica forse un punto ideale, per dire quali città hanno giurisdizione sui tre lati).
Vi si affaccia Peschiera, bel fortilizio pronto a fronteggiare i bresciani e i bergamaschi (sottinteso da parte dei veronesi) nel punto dove le acque traboccano e si fanno fiume emissario, il Mincio, che sfocia nel Po presso Governolo (frazione di Roncoferraro, MN).
Il Mincio, quindi, non scorre molto prima di incontrare una “lama”, una depressione, dove si impaluda e solo d’estate si inaridisce.
Qui Manto, la vergine “cruda”, cioè restia alle nozze (tale termine era stato usato anche per la maga Erichto in Inferno IX,23, ma nel senso di crudele), trovò la terra nel mezzo del pantano disabitata e incolta e vi si stabilì con i suoi servi praticandovi le sue arti finché visse, dopo di che vi lasciò il proprio corpo vuoto. Solo più tardi si raccolsero uomini in quel luogo per il pantano che proteggeva da tutte le parti costruendo una città sopra quelle ossa sepolte e chiamandola Mantova in onore della maga, ma senza altri sortilegi (come in altre città si narra succedesse per trovare un nome e una data di fondazione propizi).
Da allora la popolazione crebbe fino a quando Alberto da Casalodi, guelfo, fu ingannato da Pinamonte dei Bonacolsi, ghibellino, che approfittando della sua stoltezza (“mattia”, v. 95), lo convinse ad esiliare molte famiglie nobili, privandolo così di chi avrebbe potuto sostenerlo contro i popolani. Messosi poi a capo di questi, Pinamonte cacciò da Mantova Alberto e le restanti famiglie nobili, molte delle quali furono sterminate, causando lo spopolamento duecentesco della città.
Virgilio termina la parentesi attestando che questa è la verità, e che se Dante venisse a conoscenza di altre versioni, esse sono menzogne che frodano la realtà. È curioso come Dante voglia ribadire fermamente le origini non-magiche di Mantova, smentendo varie versioni leggendarie, tra le quali una di Virgilio stesso (che in Eneide X 198 la riferiva fondata dal figlio di Manto, Ocno, quindi si smentisce da solo e certo i rapporti tra pellegrino e maestro non avrebbero permesso una lezione da parte di Dante-personaggio), oltre a quelle di Servio o di Isisdoro da Siviglia che la volevano fondata da Manto stessa o da altri persongaggi mitologici. Inoltre così Dante fa rivendicare a Virgilio la purezza del suo sangue lombardo e alleggerisce la sua figura da quella del “Virgilio-mago” tanto popolare nel Medioevo.
Si noti che Manto è citata anche in Purgatorio (Purgatorio XXII,113) quando Virgilio, parlando con Stazio, nomina altre anime del Limbo oltre quelle elencate nel quarto Canto indicando anche la “figlia di Tiresia”. O Dante si è confuso (e forse aveva scritto il canto del Purgatorio prima di questo dell’Inferno, scordandosi il veloce accenno, essendo piuttosto improbabile che al contrario scrivendo il Purgatorio si scordasse di questo lungo passo su Manto) oppure egli si riferisce a qualche altro personaggio citando magari una fonte a noi sconosciuta. Francesco Torraca, pensando a un errore dei copisti, suppone che Dante scrivesse: “la figlia di Nereo, Teti,” e che quindi in Purgatorio XXII,113 si parlasse della sola Teti, madre di Achille (cfr.M. Porena, op. cit., Purg. XXII, nota al verso 113, p.215).
[bibl]Inferno – Canto ventesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ventesimo&oldid=38300964 (in data 14 novembre 2011).[/bibl]