Canto XXII Inferno- (vv 91-151) – Inganno di Ciampolo e zuffa dei diavoli

Testo e commento del Canto XXI dell’Inferno (versi 91-151)-Inganno di Ciampolo e zuffa dei diavoli

Omè, vedete l’altro che digrigna;
i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello
non s’apparecchi a grattarmi la tigna". 93

E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello
che stralunava li occhi per fedire,
disse: "Fatti ’n costà, malvagio uccello!". 96

"Se voi volete vedere o udire",
ricominciò lo spaürato appresso,
"Toschi o Lombardi, io ne farò venire; 99

ma stieno i Malebranche un poco in cesso,
sì ch’ei non teman de le lor vendette;
e io, seggendo in questo loco stesso, 102

per un ch’io son, ne farò venir sette
quand’io suffolerò, com’è nostro uso
di fare allor che fori alcun si mette". 105

Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso,
crollando ’l capo, e disse: "Odi malizia
ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!". 108

Ond’ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia,
rispuose: "Malizioso son io troppo,
quand’io procuro a’ mia maggior trestizia". 111

Alichin non si tenne e, di rintoppo
a li altri, disse a lui: "Se tu ti cali,
io non ti verrò dietro di gualoppo, 114

ma batterò sovra la pece l’ali.
Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo,
a veder se tu sol più di noi vali". 117

O tu che leggi, udirai nuovo ludo:
ciascun da l’altra costa li occhi volse,
quel prima, ch’a ciò fare era più crudo. 120

Lo Navarrese ben suo tempo colse;
fermò le piante a terra, e in un punto
saltò e dal proposto lor si sciolse. 123

Di che ciascun di colpa fu compunto,
ma quei più che cagion fu del difetto;
però si mosse e gridò: "Tu se’ giunto!". 126

Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto
non potero avanzar; quelli andò sotto,
e quei drizzò volando suso il petto: 129

non altrimenti l’anitra di botto,
quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa,
ed ei ritorna sù crucciato e rotto. 132

Irato Calcabrina de la buffa,
volando dietro li tenne, invaghito
che quei campasse per aver la zuffa; 135

e come ’l barattier fu disparito,
così volse li artigli al suo compagno,
e fu con lui sopra ’l fosso ghermito. 138

Ma l’altro fu bene sparvier grifagno
ad artigliar ben lui, e amendue
cadder nel mezzo del bogliente stagno. 141

Lo caldo sghermitor sùbito fue;
ma però di levarsi era neente,
sì avieno inviscate l’ali sue. 144

Barbariccia, con li altri suoi dolente,
quattro ne fé volar da l’altra costa
con tutt’i raffi, e assai prestamente 147

di qua, di là discesero a la posta;
porser li uncini verso li ’mpaniati,
ch’eran già cotti dentro da la crosta. 150

E noi lasciammo lor così ’mpacciati.



Al vedere i diavoli minacciarlo sempre più da vicino, Ciampolo si zittisce. Farfarello sta “stralunando” gli occhi e il gran proposto (un altro modo di indicare ancora Barbariccia, che è stato appunto proposto come capo dagli altri diavoli) lo scaccia: “Fatti ‘n costà, malvagio uccello!”. Ciampolo allora propone un patto di scambio: se essi (Dante e Virgilio) vogliono vedere altri loro compaesani Toscani e Lombardi, lui li può richiamare se i Malebranche staranno un poco in ritirata (in cesso), così che essi non temano le loro ombre; basterà che egli “suffoli” un segnale convenuto e parecchi (sette con valore indeterminato) usciranno fuori.
Al che Cagnazzo leva il muso e lo accusa di volerli ingannare per tornare nella pece, ma Ciampolo risponde di compiere l’inganno a danno degli altri dannati, adescando i diavoli. Alichino allora, in contrasto con gli altri diavoli, accetta per primo al sua proposta, minacciandolo di riafferrarlo se solo tenta di ributtarsi nella pece (“non ti verrò dietro di galoppo, / ma batterò sopra la pece l’ali” cioè con le mie ali sarò più veloce che un cavallo al galoppo). I diavoli allora convinti da Alichino arretrano appena dietro la riva, coperti anche dalla leggera pendenza delle Malebolge ed il primo a farlo è proprio Cagnazzo, quello che aveva manifestato perplessità, come a intendere il suo spazientimento per il gioco o l’ardimento dopo essere stato convinto: in ogni caso è un realistico particolare psicologico.
Tutti stanno a guardare, ma il Navarrese, studiato il momento giusto, si acquatta e poi spicca il tuffo nella pece beffando tutti. Alichino spicca il salto per acciuffarlo, ma deve fare come il falcone che risale quando l’anatra si nasconde sotto l’acqua: “l’ali al sospetto non potero avanzar” cioè più rapida delle ali fu la paura. Tutti sono presi dai rimorsi, ma più di tutti alichino e dopo di lui Calcabrina, che aveva seguito il volo sperando che il dannato fuggisse per potersi azzuffare; infatti appena il barattiere sparisce egli rivolge i suoi artigli al compagno, che a sua volta risponde con artigliate da sparvier grifagno. Nella zuffa entrambi però rotolano nella pece bollente. Il caldo si rivela meraviglioso pacificatore perché i due si separano subito, ma non riescono a rialzarsi in volo con le ali tutte invischiate di pece, e devono essere afferrati dai compagni, pur essendo “già cotti dentro la crosta”.
Approfittando della confusione, Dante e Virgilio se ne vanno.

[bibl]Inferno – Canto ventiduesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ventiduesimo&oldid=40809762 (in data 14 novembre 2011).[/bibl]

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