Canto XXIII Inferno- (vv 58-72) – La bolgia degli ipocriti

Testo e commento del Canto XXIII dell’Inferno (versi 58-72)-La bolgia degli ipocriti

Là giù trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca e vinta. 60

Elli avean cappe con cappucci bassi
dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
che in Clugnì per li monaci fassi. 63

Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
che Federigo le mettea di paglia. 66

Oh in etterno faticoso manto!
Noi ci volgemmo ancor pur a man manca
con loro insieme, intenti al tristo pianto; 69

ma per lo peso quella gente stanca
venìa sì pian, che noi eravam nuovi
di compagnia ad ogne mover d’anca. 72



Una volta discesi sul fondo l’atmosfera del canto cambia completamente e basta la prima terzina per segnare l’atmosfera di silenzio e dolore.
« Là giù trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,

piangendo e nel sembiante stanca e vinta. »
(vv. 58-60)
I dannati sono dipinti cioè coperti da un’abbagliante doratura, e se ne vanno con passi lentissimi piangendo, con un fare di chi è vinto dalla stanchezza (endiadi). Indossano delle ampie cappe da monaci, come hanno quelli di Cluny, che però all’interno sono foderate di pesantissimo piombo e sono così pese che quelle di Federico, in confronto, sembravano di paglia: un’allusione a una leggenda sull’efferatezza dell’Imperatore, messa su e diffusa dal partito guelfo, alla quale Dante credeva, ritenendo che egli fosse solito punire chi era colpevole di lesa maestà con una cappa di piombo prima di metterli su una caldaia infuocata. I dannati, “intenti al tristo pianto” camminavano così lenti che a ogni nuovo passo i due si ritrovavano a superare e affiancare già qualcuno di diverso. L’atmosfera di questo canto è stata definita talvolta come conventuale, infatti la bolgia viene definita ai versi 91-92 “collegio (parola che spesso indicava una comunità di frati degli ipocriti”).
Il contrappasso di questi dannati (si scoprirà presto che sono gli ipocriti) consiste nell’analogia rispetto alla loro condotta in vita: all’esterno mostravano una splendida figura, covando nel loro interno il loro cupo pensiero reale. Può aver influenzato Dante anche l’etimologia che Uguccione della Faggiuola dà della parola ipocrita, cioè come formata dalle parole greche hypò, “sotto”, e chrysòs, “oro” (in realtà dovrebbe derivare da hypocrités, “attore”). La visione che Dante aveva di questi peccatori era sicuramente influenzata anche dai vangeli, dove Gesù si scagliava con veemenza durante le sue predicazioni contro tale atteggiamento. L’ipocrisia è anche il tema dominante del Fiore, poemetto in endecasillabi da alcuni indicato come opera giovanile di Dante.

[bibl]Inferno – Canto ventitreesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ventitreesimo&oldid=41205359 (in data 14 novembre 2011).[/bibl]

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