Canto XXXII Inferno – (vv 52-69) – Camicione de’ Pazzi
Testo e commento del Canto XXXII dell’Inferno (versi 52-69)- Camicione de’ Pazzi
E un ch’avea perduti ambo li orecchi per la freddura, pur col viso in giùe, disse: "Perché cotanto in noi ti specchi? 54 Se vuoi saper chi son cotesti due, la valle onde Bisenzo si dichina del padre loro Alberto e di lor fue. 57 D’un corpo usciro; e tutta la Caina potrai cercare, e non troverai ombra degna più d’esser fitta in gelatina: 60 non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra con esso un colpo per la man d’Artù; non Focaccia; non questi che m’ingombra 63 col capo sì, ch’i’ non veggio oltre più, e fu nomato Sassol Mascheroni; se tosco se’, ben sai omai chi fu. 66 E perché non mi metti in più sermoni, sappi ch’i’ fu’ il Camiscion de’ Pazzi; e aspetto Carlin che mi scagioni". 69
Un dannato allora prende la parola, sebbene stia rivolto in basso. Egli, notazione macabra, ha gli orecchi staccati dal gelo e probabilmente sta osservando Dante riflesso nel ghiaccio: (parafrasi vv. 54-69) “Perché ti specchi fissandoci così a lungo? Se vuoi sapere chi siano codesti due, essi sono figli di Alberto, possidente della valle dove scorre il Bisenzio. Uscirono dallo stesso corpo (cioè in parole meno aride nacquero dalla stessa madre) e per quanto tu possa cercare nella Caina non troverai ombra più degna d’esser fitta in gelatina (nel gelo, con intonazione ironica): non colui che ebbe il petto e l’ombra trafitti da un colpo di spada di Re Artù (Mordred), né il Focaccia (Vanni de’ Cancellieri); né questo che col suo capo mi copre la vista e si chiama Sassol Mascheroni, dopotutto se sei toscano saprai bene chi fu. E poi, perché tu non stia a tormentari con altre domande (notare il tono irritato) sappi che io sono Camicione de’ Pazzi e che aspetto solo Carlino che mi scagioni, con la sua colpa ben più grave della mia.”
In questo lungo monologo Camicione, esponente della famiglia dei Pazzi di Valdarno, che uccise a tradimento il suo congiunto Ubertino de’ Pazzi, indica innanzi tutto che questa zona del lago ghiacciato si chiama “Caina”. Il nome deriva da Caino, biblico esempio primario di tradimento dei parenti o dei congiunti in generale.
Prima aveva descritto i due dannati avvinghiati ai piedi di Dante come figli del conte Alberto degli Alberti, Conti di Vernio e di Mangona, proprietari della rocca di Cerbaia nella Val Bisenzio: essi sono Napoleone e Alessandro Alberti, uccisi tra di loro tra i 1282 e il 1286 per questioni politiche e di interesse. A differenza dei mitologici Eteocle e Polinice, la cui fiamma si biforcava per l’odio anche durante la pira che bruciava i loro cadaveri (citata da Dante in Inf. XXVI, 54), essi sono invece condannati ad essere per l’eternità uniti l’uno all’altro.
In questo girone popolato in larga maggioranza da figure contemporanee, Camicione cita solo l’esempio praticamente didascalico di Mordred, il traditore di Re Artù che nel ciclo bretone viene trafitto a morte da Lancillotto con tale furia che nel testo del Lancillotto del lago si ricorda come la ferita era profonda tanto da passarci un raggio di sole che bucò quindi anche la sua ombra.
Focaccia è invece Vanni de’ Cancellieri, della rissosa famiglia pistoiese che per prima creò le fazioni dei guelfi bianchi e neri, il quale uccise un suo consorte a tradimento (secondo alcuni commentatori un parente stretto o un familiare, ma mancano elementi d’archivio per una vera documentazione). Pure Sassol Mascheroni, citato con cinica irritazione per come la sua testa copra la visuale a Camicione, è un traditore del quale non si hanno notizie storiche fondate.
Scopriremo presto come in questo girone i dannati non desiderano essere ricordati, anzi ci terrebbero a tenere ben nascosto il fatto di essere colpevoli di peccati così turpi. Ugolino della Gherardesca racconterà la sua storia solo per denunciare l’efferatezza del suo nemico, l’Arcivescovo Ruggieri, mentre in questo caso Camicione si nomina solo per evitare di essere tormentato da domande di Dante, in un’insofferente irritazione: egli però non manca di cogliere l’occasione per nominare con infamia anche un’altra persona, Carlino de’ Pazzi (in realtà non era un parente ma apparteneva ai guelfi Pazzi di Firenze), che quando morirà verrà punito in una zona ancora più bassa dell’Inferno, tra i traditori della patria per il crimine di aver venduto il castello di Pietravigne ai guelfi neri, ottenendo un salvacondotto per rientrare a Firenze sebbene guelfo bianco; perciò anche la colpa di Camicione, al confronto gli sembrerà meno grave, stabilendo così una maligna graduatoria di reità.
[/bibl] Inferno – Canto trentaduesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_trentaduesimo&oldid=43992179 (in data 19 novembre 2011).[/bibl].