Canto XXXIV Inferno – (vv 16-56) -Lucifero

Testo e commento del Canto XXXIV dell’Inferno (versi 16-56)- Lucifero- versi

Quando noi fummo fatti tanto avante,
ch’al mio maestro piacque di mostrarmi
la creatura ch’ebbe il bel sembiante, 18

d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,
"Ecco Dite", dicendo, "ed ecco il loco
ove convien che di fortezza t’armi". 21

Com’io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,
però ch’ogne parlar sarebbe poco. 24

Io non mori’ e non rimasi vivo;
pensa oggimai per te, s’ hai fior d’ingegno,
qual io divenni, d’uno e d’altro privo. 27

Lo ’mperador del doloroso regno
da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia;
e più con un gigante io mi convegno, 30

che i giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant’esser dee quel tutto
ch’a così fatta parte si confaccia. 33

S’el fu sì bel com’elli è ora brutto,
e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
ben dee da lui procedere ogne lutto. 36

Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand’io vidi tre facce a la sua testa!
L’una dinanzi, e quella era vermiglia; 39

l’altr’eran due, che s’aggiugnieno a questa
sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla,
e sé giugnieno al loco de la cresta: 42

e la destra parea tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla. 45

Sotto ciascuna uscivan due grand’ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid’io mai cotali. 48

Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
sì che tre venti si movean da ello: 51

quindi Cocito tutto s’aggelava.
Con sei occhi piangëa, e per tre menti
gocciava ’l pianto e sanguinosa bava. 54



Quando i due sono abbastanza vicini per vedere la creatura ch’ebbe il bel sembiante (la creatura che era di meraviglioso aspetto), Virgilio si toglie di davanti e lascia la visuale libera a Dante dicendo: “Ecco Dite, ecco il luogo dove conviene armarsi di coraggio”.
Dante aspetta ancora un attimo a descrivere la visione culminante dell’Inferno e per creare aspettativa nel lettore interpone prima alcune sue sensazioni: divenne gelato e fioco, ma il lettore è meglio che non domandi, ch’ogne parlar sarebbe poco, cioè che qualsiasi parola sarebbe insufficiente; Dante dice che non mori’ e non rimasi vivo (si direbbe oggi “mezzo morto”), e che il lettore può ormai immaginare da sé che vuol dire restare senza vita e morte.
A questo punto inizia senza mezze misure la descrizione dell’apparizione vera e propria:
« Lo ‘mperador del doloroso regno
da mezzo ‘l petto uscia fuor de la ghiaccia. »
(vv. 28-29)
Dante vede Lucifero come un imperatore decaduto, con una sua regalità, che sta conficcato nel ghiaccio fino al petto. È uno sconfitto reso impotente da Dio, quindi è anche ridicolizzabile dagli uomini: Giotto lo dipinse obeso nella Cappella degli Scrovegni (1306), mentre Dante lo userà come scala. La sua immobile enormità richiama a memoria i Giganti del Canto XXXI, infatti proprio con essi Dante fa un confronto, usando sé stesso anche come termine di paragone: c’è più proporzione tra un gigante e lui, che tra un gigante e le braccia di Lucifero, calcolando quindi con approssimazione un’altezza totale di Satana di un chilometro e mezzo.
Se egli fosse stato bello (prima di ribellarsi) quanto ora è brutto e alzò le ciglia (cioè si ribellò) contro il suo Creatore (fattore), invece di essergli grato per la bellezza che gli aveva donato, allora è ben naturale che da lui proceda ogni male (ogni lutto).
Grande stupore generano in Dante le tre facce mostruose del demonio: una centrale rossa, le altre due bianco-giallo (destra) e nera (sinistra) (come quella di coloro che vengono dalla valle del Nilo, cioè degli etiopi) si ricongiungevano sul dietro della nuca, dove alcuni animali hanno la cresta. A parte la connotazione dei colori, non pienamente decifrata (forse un’antitesi al bianco, verde e rosso delle tre virtù teologali, fede, speranza e carità), le tre facce sarebbero la punizione di Lucifero: come egli aspirava a diventare Dio, adesso è una mostruosa parodia all’opposto della Trinità; se le caratteristiche divine sono la divina podestate, / la somma sapïenza e ‘l primo amore (Inf. III, vv. 5-6), quelle di Belzebù sarebbero quindi, per contrasto, impotenza, ignoranza e odio.
Sotto ciascuna delle facce escono due grandi ali proporzionate con l’immane uccello (metafora del corpo di Lucifero). Dante confessa di non averne mai viste di tali e che erano prive di penne, simili a quelle di vispistrello (pipistrello più influenzato del termine odierno dal latino vespertilio). Le tre coppie di ali sono anche caratteristica degli angeli Serafini, i più vicini a Dio, dei quali faceva parte anche Lucifero. Da queste ali hanno origine tre venti che gelano tutto il Cocito. Il particolare delle ali e delle tre facce (antitesi della Trinità) sono le uniche concessioni al mostruoso in questo Satana di Dante: sono assenti tutti gli elementi grotteschi (corna, code di serpente, zampe artigliate, e quant’altro) tipici delle coeve raffigurazioni letterarie e iconografiche (si pensi al diavolo dei mosaici del Battistero di Firenze che Dante conosceva molto bene).
Alle tre facce corrispondono sei occhi lacrimanti e tre menti che gocciolano pianto e sanguinosa bava: così perché da ogni bocca maciulla un dannato, per un totale di tre.

[/bibl] Inferno – Canto trentaquattresimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_trentaquattresimo&oldid=44903189 (in data 20 novembre 2011).[/bibl].

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