Canto VIII Inferno – (vv 31-63) – Filippo Argenti
Testo e commento del Canto VIII dell’Inferno (versi 31-63) – Filippo Argenti
Mentre noi corravam la morta gora, dinanzi mi si fece un pien di fango, e disse: "Chi se’ tu che vieni anzi ora?". 33 E io a lui: "S’i’ vegno, non rimango; ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?". Rispuose: "Vedi che son un che piango". 36 E io a lui: "Con piangere e con lutto, spirito maladetto, ti rimani; ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto". 39 Allor distese al legno ambo le mani; per che ’l maestro accorto lo sospinse, dicendo: "Via costà con li altri cani!". 42 Lo collo poi con le braccia mi cinse; basciommi ’l volto e disse: "Alma sdegnosa, benedetta colei che ’n te s’incinse! 45 Quei fu al mondo persona orgogliosa; bontà non è che sua memoria fregi: così s’è l’ombra sua qui furïosa. 48 Quanti si tegnon or là sù gran regi che qui staranno come porci in brago, di sé lasciando orribili dispregi!". 51 E io: "Maestro, molto sarei vago di vederlo attuffare in questa broda prima che noi uscissimo del lago". 54 Ed elli a me: "Avante che la proda ti si lasci veder, tu sarai sazio: di tal disïo convien che tu goda". 57 Dopo ciò poco vid’io quello strazio far di costui a le fangose genti, che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio. 60 Tutti gridavano: "A Filippo Argenti!"; e ’l fiorentino spirito bizzarro in sé medesmo si volvea co’ denti. 63
Durante la traversata un dannato si rivolge a Dante. I due iniziano un serrato battibecco, sottolineato dalla ripetizione degli stessi versi nello stile di botta e risposta (vieni/vegno, non rimango/ti rimani, se’/son, piango/piangere). Dante ha un contegno molto sdegnato nei confronti del dannato: è un chiaro esempio di quello che egli intendeva per “sdegno” cioè ira giusta contro il male, contrapposta all’ira vera e propria dei dannati.
Il dannato (del quale non è ancora stato detto il nome) allora si attacca con le mani alla barca cercando di rovesciarla e viene scacciato con prontezza da Virgilio, il quale poi rassicura Dante abbracciandolo e baciandolo. A questo punto c’è un passo che ha destato perplessità per la sua durezza sin dai commentatori antichi: Dante manifesta il desiderio di vedere quell’anima che lo aveva attaccato sprofondare nella palude prima di terminare la traversata, e Virgilio lo loda per il suo desiderio di vendetta e gli assicura che presto sarà soddisfatto; infatti presto gli altri dannati si accalcano tutti contro quell’anima gridando “A Filippo Argenti!”, il quale, pazzo di ira, non può far altro che mordersi con i suoi stessi denti (solo a questo punto viene indicato il nome del personaggio, nel momento più infamante).
Dante, a differenza degli altri dannati finora incontrati verso i quali aveva provato indifferenza o sentimenti di pietà fino alle lacrime (Paolo e Francesca, Ciacco) qui manifesta per la prima volta odio e compiacimento per la cattiva sorte altrui, usando un episodio con tratti eccessivi, quasi brutali, rispetto all’affronto di Filippo Argenti. Anzi è proprio da episodi come questo che si vede come egli non idealizzi la sua persona, ma anzi manifesti anche le sue bassezze, le sue paure, le sue stizze così umane, dando alla sua Commedia quel vigore vitale che ancora oggi la rende universalmente godibile.
Dante sarà crudele anche con Vanni Fucci (Inf. XXIV), con Bocca degli Abati (Inf. XXXII), con Frate Alberigo e Branca d’Oria (Inf. XXXIII), ma in nessun altro caso a parte questo ritroveremo la clamorosa approvazione di Virgilio, che nel poema simboleggia la ragione, suggellato addirittura dall’unico bacio della Divina Commedia.
Esiste una palese sproporzione tra il peccato dell’Argenti in vita, o il suo comportamento nell’Inferno dantesco (in fondo solo uno scatto d’ira di uno spirito che Dante stesso definisce “bizzarro” cioè facile a scatti d’ira) e l’odio di Dante, con un episodio descritto come sotto la volontà di perpetrare una duratura ignominia. A rigor di logica, quindi, si è pensato che tra i due personaggi esistessero dei fatti di attrito personale: gli antichi commentatori riportano anche fatti dei quali però non esiste documentazione (come l’episodio di uno schiaffo a Dante, o del fatto che l’Argenti fosse solito cavalcare con le punte dei piedi all’esterno colpendo una volta il poeta sul viso, il quale lo denunciò e lo fece condannare dalla magistratura), mentre l’odio verso la famiglia degli Adimari (ai quali Filippo Argenti apparteneva) è sottolineato anche in un passo del Paradiso, quando Cacciaguida li definisce come l'”oltracotata schiatta che s’indraca / dietro a chi fugge”, cioè come quella “famigliaccia” che ha la furia tipica dei draghi verso coloro che sono in difficoltà.
Siamo davanti quindi a un caso di vita fiorentina minore, legato alle piccole angherie personali, le rivalità e le borie. Spesso viene anche indicato come gli Adimari si adoperarono perché non fosse revocato l’esilio per Dante o di come essi incamerarono alcuni dei beni confiscati agli Alighieri, notizie però scarsamente documentate, se non da redazioni posteriori la pubblicazione della Commedia. Un’altra interpretazione sostenuta da commentatori più moderni, sostiene che l’Argenti impersonifichi quel tipo di persona detta il magnate-non magnanimo, dedito alla violenza, ira e superbia. L’ira “buona” (secondo l’etica nicomachea aristotelica ci sono due tipi di ira: l’ira mala e l’ira buona. Quest’ultima è detta mansuetudine e quindi secondo essa ci si adira contro quelle persone contro le quali è lecito adirarsi) di Dante deve essere vista non solo contro Filippo ma contro quella categoria di uomini.
[bibl]Inferno – Canto ottavo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ottavo&oldid=43964867 (in data 8 novembre 2011).[/bibl]