Canto VIII Inferno – (vv 64-130) – Le mura della città di Dite

Testo e commento del Canto VIII dell’Inferno (versi 64-130) – Le mura della città di Dite

Quivi il lasciammo, che più non ne narro;
ma ne l’orecchie mi percosse un duolo,
per ch’io avante l’occhio intento sbarro. 66

Lo buon maestro disse: "Omai, figliuolo,
s’appressa la città c’ ha nome Dite,
coi gravi cittadin, col grande stuolo". 69

E io: "Maestro, già le sue meschite
là entro certe ne la valle cerno,
vermiglie come se di foco uscite 72

fossero". Ed ei mi disse: "Il foco etterno
ch’entro l’affoca le dimostra rosse,
come tu vedi in questo basso inferno". 75

Noi pur giugnemmo dentro a l’alte fosse
che vallan quella terra sconsolata:
le mura mi parean che ferro fosse. 78

Non sanza prima far grande aggirata,
venimmo in parte dove il nocchier forte
"Usciteci", gridò: "qui è l’intrata". 81

Io vidi più di mille in su le porte
da ciel piovuti, che stizzosamente
dicean: "Chi è costui che sanza morte 84

va per lo regno de la morta gente?".
E ’l savio mio maestro fece segno
di voler lor parlar segretamente. 87

Allor chiusero un poco il gran disdegno
e disser: "Vien tu solo, e quei sen vada
che sì ardito intrò per questo regno. 90

Sol si ritorni per la folle strada:
pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai,
che li ha’ iscorta sì buia contrada". 93

Pensa, lettor, se io mi sconfortai
nel suon de le parole maladette,
ché non credetti ritornarci mai. 96

"O caro duca mio, che più di sette
volte m’ hai sicurtà renduta e tratto
d’alto periglio che ’ncontra mi stette, 99

non mi lasciar", diss’io, "così disfatto;
e se ’l passar più oltre ci è negato,
ritroviam l’orme nostre insieme ratto". 102

E quel segnor che lì m’avea menato,
mi disse: "Non temer; ché ’l nostro passo
non ci può tòrre alcun: da tal n’è dato. 105

Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso
conforta e ciba di speranza buona,
ch’i’ non ti lascerò nel mondo basso". 108

Così sen va, e quivi m’abbandona
lo dolce padre, e io rimagno in forse,
che sì e no nel capo mi tenciona. 111

Udir non potti quello ch’a lor porse;
ma ei non stette là con essi guari,
che ciascun dentro a pruova si ricorse. 114

Chiuser le porte que’ nostri avversari
nel petto al mio segnor, che fuor rimase
e rivolsesi a me con passi rari. 117

Li occhi a la terra e le ciglia avea rase
d’ogne baldanza, e dicea ne’ sospiri:
"Chi m' ha negate le dolenti case!". 120

E a me disse: "Tu, perch’io m’adiri,
non sbigottir, ch’io vincerò la prova,
qual ch’a la difension dentro s’aggiri. 123

Questa lor tracotanza non è nova;
ché già l’usaro a men segreta porta,
la qual sanza serrame ancor si trova. 126

Sovr’essa vedestù la scritta morta:
e già di qua da lei discende l’erta,
passando per li cerchi sanza scorta, 129

tal che per lui ne fia la terra aperta".


Dante non vuole più parlare dell’Argenti e inizia a vedere le mura della città di Dite e a sentire i lamenti dei dannati che vi sono rinchiusi. Vede torri infuocate, che spuntano dalle mura come minareti (“meschite”, dallo spagnolo ‘mazquit’) e intanto approdano al fossato che cinge le mura, nelle quali si apre una porta protetta da una miriade di diavoli.
I diavoli sono sorpresi di vedere una persona viva e Virgilio chiede di parlare con loro in privato. I diavoli rispondono che venga pure, ma chiedono che Dante torni indietro a piedi da solo. Qui Dante si rivolge direttamente al lettore per manifestargli la sua paura, ma anche inconsciamente per rassicurarlo in quanto egli adesso sta scrivendo, quindi la sua avventura si deve essere conclusa necessariamente con il superamento dell’ostacolo. Dante implora Virgilio di non abbandonarlo, ma il “duca” lo rassicura e va a parlare con i diavoli. Essi in tutta risposta gli chiudono la porta della città dei morti in faccia, e Virgilio torna da Dante adirato, ma lo rassicura di nuovo che la loro missione ha da compiersi, e che è normale l’opposizione dei diavoli: essi negarono l’ingresso anche al Cristo quando entrò nell’Inferno, ed egli dovette distruggere la porta principale degli inferi, quella dove Dante aveva letto la minacciosa scritta “Per me si va nella città dolente”.Il canto si interrompe, ma la scena ha il suo diretto continuo nel canto successivo, dove oltre ai diavoli arrivano le tre Erinni ad attaccare i poeti per impedire loro l’accesso alla città di Dite.

[bibl]Inferno – Canto ottavo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ottavo&oldid=43964867 (in data 8 novembre 2011).[/bibl]

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