Canto XXII Purgatorio – (vv 1-154)

Testo del Canto XXII del Purgatorio (versi 1-154)

Già era l’angel dietro a noi rimaso,
l’angel che n’avea vòlti al sesto giro,
avendomi dal viso un colpo raso; 3

e quei c’ hanno a giustizia lor disiro
detto n’avea beati, e le sue voci
con ’sitiunt’, sanz’altro, ciò forniro. 6

E io più lieve che per l’altre foci
m’andava, sì che sanz’alcun labore
seguiva in sù li spiriti veloci; 9

quando Virgilio incominciò: "Amore,
acceso di virtù, sempre altro accese,
pur che la fiamma sua paresse fore; 12

onde da l’ora che tra noi discese
nel limbo de lo ’nferno Giovenale,
che la tua affezion mi fé palese, 15

mia benvoglienza inverso te fu quale
più strinse mai di non vista persona,
sì ch’or mi parran corte queste scale. 18

Ma dimmi, e come amico mi perdona
se troppa sicurtà m’allarga il freno,
e come amico omai meco ragiona: 21

come poté trovar dentro al tuo seno
loco avarizia, tra cotanto senno
di quanto per tua cura fosti pieno?". 24

Queste parole Stazio mover fenno
un poco a riso pria; poscia rispuose:
"Ogne tuo dir d’amor m’è caro cenno. 27

Veramente più volte appaion cose
che danno a dubitar falsa matera
per le vere ragion che son nascose. 30

La tua dimanda tuo creder m’avvera
esser ch’i’ fossi avaro in l’altra vita,
forse per quella cerchia dov’io era. 33

Or sappi ch’avarizia fu partita
troppo da me, e questa dismisura
migliaia di lunari hanno punita. 36

E se non fosse ch’io drizzai mia cura,
quand’io intesi là dove tu chiame,
crucciato quasi a l’umana natura: 39

’Per che non reggi tu, o sacra fame
de l’oro, l’appetito de’ mortali?’,
voltando sentirei le giostre grame. 42

Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali
potean le mani a spendere, e pente’ mi
così di quel come de li altri mali. 45

Quanti risurgeran coi crini scemi
per ignoranza, che di questa pecca
toglie ’l penter vivendo e ne li stremi! 48

E sappie che la colpa che rimbecca
per dritta opposizione alcun peccato,
con esso insieme qui suo verde secca; 51

però, s’io son tra quella gente stato
che piange l’avarizia, per purgarmi,
per lo contrario suo m’è incontrato". 54

"Or quando tu cantasti le crude armi
de la doppia trestizia di Giocasta",
disse ’l cantor de’ buccolici carmi, 57

"per quello che Clïò teco lì tasta,
non par che ti facesse ancor fedele
la fede, sanza qual ben far non basta. 60

Se così è, qual sole o quai candele
ti stenebraron sì, che tu drizzasti
poscia di retro al pescator le vele?". 63

Ed elli a lui: "Tu prima m’invïasti
verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
e prima appresso Dio m’alluminasti. 66

Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte, 69

quando dicesti: ’Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenïe scende da ciel nova’. 72

Per te poeta fui, per te cristiano:
ma perché veggi mei ciò ch’io disegno,
a colorare stenderò la mano. 75

Già era ’l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
per li messaggi de l’etterno regno; 78

e la parola tua sopra toccata
si consonava a’ nuovi predicanti;
ond’io a visitarli presi usata. 81

Vennermi poi parendo tanto santi,
che, quando Domizian li perseguette,
sanza mio lagrimar non fur lor pianti; 84

e mentre che di là per me si stette,
io li sovvenni, e i lor dritti costumi
fer dispregiare a me tutte altre sette. 87

E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi
di Tebe poetando, ebb’io battesmo;
ma per paura chiuso cristian fu’ mi, 90

lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
cerchiar mi fé più che ’l quarto centesmo. 93

Tu dunque, che levato hai il coperchio
che m’ascondeva quanto bene io dico,
mentre che del salire avem soverchio, 96

dimmi dov’è Terrenzio nostro antico,
Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
dimmi se son dannati, e in qual vico". 99

"Costoro e Persio e io e altri assai",
rispuose il duca mio, "siam con quel Greco
che le Muse lattar più ch’altri mai, 102

nel primo cinghio del carcere cieco;
spesse fïate ragioniam del monte
che sempre ha le nutrice nostre seco. 105

Euripide v’è nosco e Antifonte,
Simonide, Agatone e altri piùe
Greci che già di lauro ornar la fronte. 108

Quivi si veggion de le genti tue
Antigone, Deïfile e Argia,
e Ismene sì trista come fue. 111

Védeisi quella che mostrò Langia;
èvvi la figlia di Tiresia, e Teti,
e con le suore sue Deïdamia". 114

Tacevansi ambedue già li poeti,
di novo attenti a riguardar dintorno,
liberi da saliri e da pareti; 117

e già le quattro ancelle eran del giorno
rimase a dietro, e la quinta era al temo,
drizzando pur in sù l’ardente corno, 120

quando il mio duca: "Io credo ch’a lo stremo
le destre spalle volger ne convegna,
girando il monte come far solemo". 123

Così l’usanza fu lì nostra insegna,
e prendemmo la via con men sospetto
per l’assentir di quell’anima degna. 126

Elli givan dinanzi, e io soletto
di retro, e ascoltava i lor sermoni,
ch’a poetar mi davano intelletto. 129

Ma tosto ruppe le dolci ragioni
un alber che trovammo in mezza strada,
con pomi a odorar soavi e buoni; 132

e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, così quello in giuso,
cred’io, perché persona sù non vada. 135

Dal lato onde ’l cammin nostro era chiuso,
cadea de l’alta roccia un liquor chiaro
e si spandeva per le foglie suso. 138

Li due poeti a l’alber s’appressaro;
e una voce per entro le fronde
gridò: "Di questo cibo avrete caro". 141

Poi disse: "Più pensava Maria onde
fosser le nozze orrevoli e intere,
ch'a la sua bocca, ch'or per voi risponde. 144

E le Romane antiche, per lor bere,
contente furon d’acqua; e Danïello
dispregiò cibo e acquistò savere. 147

Lo secol primo, quant’oro fu bello,
fé savorose con fame le ghiande,
e nettare con sete ogne ruscello. 150

Mele e locuste furon le vivande
che nodriro il Batista nel diserto;
per ch’elli è glorïoso e tanto grande 153

quanto per lo Vangelio v’è aperto".



Il peccato di Stazio – versi 1-54
Appena superato l’angelo che custodisce l’ingresso nel sesto girone, Dante procede più agevolmente, seguendo senza fatica le anime di Virgilio e di Stazio e ascoltando il loro colloquio. Virgilio ricorda che le parole di Giovenale quando discese nel Limbo gli ispirarono grande benevolenza verso Stazio, che si era mostrato suo devoto seguace. Con spirito d’amicizia rivolge quindi a Stazio una domanda: come mai nel suo animo pieno di saggezza ha potuto trovare posto l’avarizia? Stazio dapprima sorride, poi risponde spiegando che Virgilio è caduto in un equivoco, vedendolo nel girone dove si trovano gli avari; in realtà la sua colpa è stata l’aver ecceduto in senso contrario, ovvero aver dissipato i beni materiali. La sua anima si è salvata dall’Inferno grazie al messaggio contenuto nelle parole di Virgilio: “Perché non reggi tu, o sacra fame / de l’oro, l’appetito de’ mortali?” (Eneide, libro III). Si è reso conto che anche la prodigalità eccessiva è un vizio e, pentendosi, ha evitato la pena eterna. Tanti che non raggiungono questa consapevolezza risorgeranno con i capelli strappati (Inferno – Canto settimo). Stazio precisa infine che colpe tra loro opposte, come avarizia e prodigalità, sono espiate insieme: ecco la ragione per cui egli si trovava insieme agli avari.
Il cristianesimo di Stazio – vv. 55-93
Virgilio osserva che Stazio non appariva come cristiano al tempo in cui compose la Tebaide. Chiede perciò in virtù di quale illuminazione egli si sia poi convertito al cristianesimo. Stazio risponde che Virgilio stesso prima lo ha guidato verso la poesia, poi lo ha illuminato verso la conversione: è stato per lui come un viandante che di notte porta la lanterna non davanti a sé ma dietro, aprendo a chi lo segue la strada giusta. In particolare, gli sono state di ispirazione le parole della quarta Egloga in cui Virgilio celebra l’avvento di una nuova stirpe che rinnoverà il mondo. Stazio deve quindi a Virgilio sia il suo essere poeta, sia l’esser divenuto cristiano. Infatti in quel tempo il cristianesimo veniva diffuso in tutto il mondo, e le parole di Virgilio apparvero in accordo con la nuova predicazione, così che Stazio iniziò a frequentare i gruppi dei cristiani. Quando Domiziano li perseguitò, anche Stazio li compianse; finché visse li aiutò e ne ammirò la rettitudine. Fu battezzato prima di comporre la Tebaide, ma per paura tenne nascosta la conversione: per tale tiepidezza ha dovuto per più di quattro secoli purificarsi nella quarta cornice tra gli accidiosi.
Notizie sul limbo – vv. 94-114
Stazio chiede quindi a Virgilio notizie sul destino eterno di illustri scrittori latini: Terenzio, Cecilio, Plauto, Varro ovvero Vario. Virgilio rispose che essi, insieme a Persio e molti altri, nonché a Omero e a lui stesso si trovano nel primo cerchio dell’Inferno e insieme spesso parlano di poesia. Là si trovano anche poeti greci, come Euripide, Antifonte, Simonide, Agatone, insieme a figure delle quali Stazio parla nei suoi poemi, come Antigone, Ismene, Deidamia e altre.
Il sesto cerchio: l’albero capovolto – vv. 115-154
I poeti proseguono il cammino in silenzio, guardandosi intorno; è la quinta ora del giorno (perciò mattina inoltrata). Virgilio indica che a suo giudizio è opportuno tenere l’orlo esterno della cornice alla destra continuando a salire nel modo consueto. Mentre camminano, Dante ascolta il colloquio dei due poeti dai quali trae ammaestramento. Ma il colloquio viene presto interrotto perché in mezzo al percorso si leva un albero carico di frutti profumati, di forma via via più stretta dall’alto verso il basso, come un abete rovesciato, forse – pensa Dante – perché nessuno vi si possa arrampicare. Dalla roccia esce un’acqua chiara che irrora l’albero da sotto in su. Virgilio e Stazio si accostano e odono tra le fronde una voce che grida: “Non mangerete questi frutti” (richiamando il divieto di Dio ad Adamo). Poi la stessa voce espone quattro esempi di sobrietà nel cibo, ovvero le nozze di Cana, l’astensione delle antiche romane dal vino, l’essersi cibato di miele e locuste da parte di Giovanni Battista nel deserto e la storia del profeta Daniele che si è rifiutato di mangiare alla tavola di re Nabucodonosor.

[/bibl] Purgatorio – Canto ventiduesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Purgatorio_-_Canto_ventiduesimo&oldid=44851064 (in data 22 novembre 2011) [/bibl].

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