Canto XXVIII Purgatorio – (vv 1-148)

Testo Temi e contenuti del Canto XXVIII del Purgatorio (versi 1-148)

 
Vago già di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
ch’a li occhi temperava il novo giorno, 3

sanza più aspettar, lasciai la riva,
prendendo la campagna lento lento
su per lo suol che d’ogne parte auliva. 6

Un’aura dolce, sanza mutamento
avere in sé, mi feria per la fronte
non di più colpo che soave vento; 9

per cui le fronde, tremolando, pronte
tutte quante piegavano a la parte
u’ la prim’ombra gitta il santo monte; 12

non però dal loro esser dritto sparte
tanto, che li augelletti per le cime
lasciasser d’operare ogne lor arte; 15

ma con piena letizia l’ore prime,
cantando, ricevieno intra le foglie,
che tenevan bordone a le sue rime, 18

tal qual di ramo in ramo si raccoglie
per la pineta in su ’l lito di Chiassi,
quand’Ëolo scilocco fuor discioglie. 21

Già m’avean trasportato i lenti passi
dentro a la selva antica tanto, ch’io
non potea rivedere ond’io mi ’ntrassi; 24

ed ecco più andar mi tolse un rio,
che ’nver’ sinistra con sue picciole onde
piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo. 27

Tutte l’acque che son di qua più monde,
parrieno avere in sé mistura alcuna
verso di quella, che nulla nasconde, 30

avvegna che si mova bruna bruna
sotto l’ombra perpetüa, che mai
raggiar non lascia sole ivi né luna. 33

Coi piè ristetti e con li occhi passai
di là dal fiumicello, per mirare
la gran varïazion d’i freschi mai; 36

e là m’apparve, sì com’elli appare
subitamente cosa che disvia
per maraviglia tutto altro pensare, 39

una donna soletta che si gia
e cantando e scegliendo fior da fiore
ond’era pinta tutta la sua via. 42

"Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore
ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti
che soglion esser testimon del core, 45

vegnati in voglia di trarreti avanti",
diss’io a lei, "verso questa rivera,
tanto ch’io possa intender che tu canti. 48

Tu mi fai rimembrar dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette
la madre lei, ed ella primavera". 51

Come si volge, con le piante strette
a terra e intra sé, donna che balli,
e piede innanzi piede a pena mette, 54

volsesi in su i vermigli e in su i gialli
fioretti verso me, non altrimenti
che vergine che li occhi onesti avvalli; 57

e fece i prieghi miei esser contenti,
sì appressando sé, che ’l dolce suono
veniva a me co’ suoi intendimenti. 60

Tosto che fu là dove l’erbe sono
bagnate già da l’onde del bel fiume,
di levar li occhi suoi mi fece dono. 63

Non credo che splendesse tanto lume
sotto le ciglia a Venere, trafitta
dal figlio fuor di tutto suo costume. 66

Ella ridea da l’altra riva dritta,
trattando più color con le sue mani,
che l’alta terra sanza seme gitta. 69

Tre passi ci facea il fiume lontani;
ma Elesponto, là ’ve passò Serse,
ancora freno a tutti orgogli umani, 72

più odio da Leandro non sofferse
per mareggiare intra Sesto e Abido,
che quel da me perch’allor non s’aperse. 75

"Voi siete nuovi, e forse perch’io rido",
cominciò ella, "in questo luogo eletto
a l’umana natura per suo nido, 78

maravigliando tienvi alcun sospetto;
ma luce rende il salmo Delectasti,
che puote disnebbiar vostro intelletto. 81

E tu che se’ dinanzi e mi pregasti,
dì s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta
ad ogne tua question tanto che basti". 84

"L’acqua", diss’io, "e ’l suon de la foresta
impugnan dentro a me novella fede
di cosa ch’io udi’ contraria a questa". 87

Ond’ella: "Io dicerò come procede
per sua cagion ciò ch’ammirar ti face,
e purgherò la nebbia che ti fiede. 90

Lo sommo ben, che solo esso a sé piace,
fé l’uom buono e a bene, e questo loco
diede per arr’a lui d’etterna pace. 93

Per sua difalta qui dimorò poco;
per sua difalta in pianto e in affanno
cambiò onesto riso e dolce gioco. 96

Perché ’l turbar che sotto da sé fanno
l’essalazion de l’acqua e de la terra,
che quanto posson dietro al calor vanno, 99

a l’uomo non facesse alcuna guerra,
questo monte salìo verso ’l ciel tanto,
e libero n’è d’indi ove si serra. 102

Or perché in circuito tutto quanto
l’aere si volge con la prima volta,
se non li è rotto il cerchio d’alcun canto, 105

in questa altezza ch’è tutta disciolta
ne l’aere vivo, tal moto percuote,
e fa sonar la selva perch’è folta; 108

e la percossa pianta tanto puote,
che de la sua virtute l’aura impregna
e quella poi, girando, intorno scuote; 111

e l’altra terra, secondo ch’è degna
per sé e per suo ciel, concepe e figlia
di diverse virtù diverse legna. 114

Non parrebbe di là poi maraviglia,
udito questo, quando alcuna pianta
sanza seme palese vi s’appiglia. 117

E saper dei che la campagna santa
dove tu se’, d’ogne semenza è piena,
e frutto ha in sé che di là non si schianta. 120

L’acqua che vedi non surge di vena
che ristori vapor che gel converta,
come fiume ch’acquista e perde lena; 123

ma esce di fontana salda e certa,
che tanto dal voler di Dio riprende,
quant’ella versa da due parti aperta. 126

Da questa parte con virtù discende
che toglie altrui memoria del peccato;
da l’altra d’ogne ben fatto la rende. 129

Quinci Letè; così da l’altro lato
Eünoè si chiama, e non adopra
se quinci e quindi pria non è gustato: 132

a tutti altri sapori esto è di sopra.
E avvegna ch’assai possa esser sazia
la sete tua perch’io più non ti scuopra, 135

darotti un corollario ancor per grazia;
né credo che ’l mio dir ti sia men caro,
se oltre promession teco si spazia. 138

Quelli ch’anticamente poetaro
l’età de l’oro e suo stato felice,
forse in Parnaso esto loco sognaro. 141

Qui fu innocente l’umana radice;
qui primavera sempre e ogne frutto;
nettare è questo di che ciascun dice". 144

Io mi rivolsi ’n dietro allora tutto
a’ miei poeti, e vidi che con riso
udito avëan l’ultimo costrutto; 147

poi a la bella donna torna’ il viso.


  • La foresta dell’Eden – versi 1-21
  • Matelda – vv. 22-84
  • Il vento e le acque dell’Eden – vv. 85-133
  • L’età dell’oro – vv. 134-148

Sintesi

Dante, seguito da Virgilio e Stazio, si addentra nella foresta dell’Eden: ha superato le ardue prove dell’Inferno e del Purgatorio ed ora può godere dello spettacolo del Paradiso Terrestre. Il luogo è quello dal quale Adamo ed Eva furono cacciati in seguito al peccato originale. Se la selva del I canto dell’Inferno è allegoria della paura e dello sconforto di Dante, questa foresta è simbolo della liberazione dell’uomo – Dante dai pericolosi istinti irrazionali, non più incerto, ma autonomo. La divina foresta è di una dimensione che trascende l’umano, per quanto portata a perfezione ricorda, infatti, il locus amoenus della tradizione classica, luogo immerso in una eterna primavera, fatto di delizie, lontano dalle perturbazioni atmosferiche. La descrizione prosegue con un’altra tipica componente del luogo incantevole, i ruscelli le cui limpide acque consentono la rimozione dei peccati ed il ricordo del bene compiuto: Lete ed Eunoè. Dall’altra sponda, una donna solitaria, Matelda, incarnazione della perfetta felicità dell’uomo originario, cattura l’interesse di Dante in maniera totalizzante, sviandolo da ogni altro pensiero. La figura di Matelda interviene a completare il quadro armonico: colpiscono soprattutto la calma dei gesti, la musicalità e l’innocenza assoluta. Alcune suggestioni provengono a Dante certamente dal mito classico: evoca, infatti, l’immagine di Proserpina che raccoglie i fiori e di Venere, dagli occhi splendenti d’amore.
L’Eden, luogo ideale e felice nel quale l’uomo era destinato a vivere, è situato agli antipodi del nostro mondo, a enfatizzare l’idea che la storia dell’umanità è un “esilio” della vera perduta patria. Il Paradiso Terrestre è descritto da Dante come luogo divino perché inizialmente Dio aveva concesso ad Adamo, e quindi al genere umano, una dimora perfetta, uno stato di Grazia in cui l’uomo non potrà più tornare, simbolo della virtù umana in comunione con l’Onnipotente. Anche la meta-filosofia di Pascal, ben 300 anni dopo, sembra rispondere alla consapevolezza che l’uomo non è come dovrebbe essere e che risulta privo di qualcosa che un giorno deve aver posseduto. La descrizione è dunque implicitamente tinta di malinconia e di rimpianto: Matelda, l’allegoria dell’essere umano privo di peccato originale, esordisce giustificando il proprio sorriso che potrebbe parer strano in un luogo certo piacevole, ma ormai vietato ai vivi. La situazione sembra preannunciare il concetto, caro a Rousseau, per cui tutto quando esce dalle mani dell’Autore delle cose è bene; tutto degenera nelle mani dell’uomo. Dante ha modo di appagare la propria curiosità intellettuale e teologica grazie alla spiegazione della donna: la sua ultima osservazione è rivolta ai due poeti latini, ai quali ella riconosce una sorta di capacità profetica, avendo essi sognato l’Eden; in altri termini avevano descritto la felice condizione dell’uomo senza peccato nelle loro fantasie poetiche, attraverso l’immaginazione di una mitica età dell’oro. Il poeta dedica così indirettamente il canto a Virgilio e Stazio, data la loro disposizione prossemica al di là dei due fiumi e il sorriso sui loro volti incrociando lo sguardo di Dante, confermando la loro concezione di Paradiso in quanto si erano avvicinati alla verità, pur non raggiungendola mai del tutto. L’ultimo verso indica il ritorno dello sguardo alla “bella donna” che lo condurrà a Beatrice.
Analisi del canto
La rappresentazione della divina foresta spessa e viva e della splendida e misteriosa figura di Matelda è uno dei punti fondamentali nella struttura e nella poesia dell’intero poema, per la sua bellezza e per il suo significato simbolico. Questo luogo fatto per proprio de l’umana specie, che doveva essere sede stabile di Adamo e dei suoi discendenti, è per Dante un luogo di passaggio, una tappa essenziale del suo cammino, che procede dalla selva all’abisso di Cocito, dalla spiaggia del Purgatorio a questo Paradiso terrestre, per giungere fino alla candida rosa dei beati nell’alto dell’Empireo. Di qui deriva il suo carattere di natura terrena, nella quale però si respira anche un’aria più che umana. In questo luogo Dante incontrerà Beatrice e, dopo aver preso liberamente coscienza dei propri limiti e dei propri doveri, accoglierà in sè, uomo finito, l’infinito, accettando di inoltrarsi nel Paradiso. Diverso dagli altri giardini della letteratura, rappresentati come luogo di sosta e di gioia, questo è dunque un luogo di arrivo e insieme di partenza, che si inserisce nella trama profonda del poema. Prendendo spunto dalla tradizione cristiana, Dante ne fa un luogo precisamente determinato nello spazio, nell’ordine dell’universo, attribuendo così originalità al suo significato. Posto sull’asse di Gerusalemme, esso occupa una posizione geograficamente speculare ad essa: ne sta agli antipodi. Ma con ciò assume anche un significato profondo sul piano storico e teologico: mette in relazione il luogo della colpa con quello della redenzione, la vicenda di Adamo con quella di Cristo, il tempo passato e perduto con il tempo della salvezza. E conferisce perciò unità e significato alla storia umana. L’organica visione del mondo propria di Dante trova qui un punto centrale della sua rappresentazione.
Il canto è diviso nettamente in due parti: la rappresentazione del luogo e della donna che in essa appare a Dante e la spiegazione dei fenomeni e della natura di questo ambiente, affidato al preciso e realistico ragionamento di Matelda. Ma questa separazione si fonde in unità di contenuto in quanto la seconda parte non ha una funzione didattica autonoma, ma costituisce il fondamento e il senso della prima parte descrittiva. Certo, poeticamente la prima parte è decisamente la più significativa per la suggestione delle immagini e per lo slancio lirico con il quale Dante rende l’incanto di questa natura innocente e perfetta. I fiori, il verde, il ruscello, il canto degli augelletti, la brezza leggera e soprattutto la donna con gli occhi splendenti d’amore rimandano certo allo Stil Nuovo, ma ogni particolare è qui inserito in un contesto religioso. La presenza della donna nella foresta può anche far pensare a situazioni caratteristiche del romanzo cavalleresco, ma la situazione è diversa: Dante non è il cavaliere che incontra una donna bisognosa di aiuto; egli trova una donna-guida, che prefigura l’incontro con Beatrice. Non siamo di fronte a una descrizione naturalistica ma a una rappresentazione simbolica ricca di più significati. Ad esempio, il fiume, che sul piano teologico rappresenta un limite (Virgilio non può oltrepassarlo), sul piano narrativo funziona da mediazione verso una dimensione spirituale più alta: Dante lo varcherà con l’aiuto di Matelda. E se Dante attinge alla realtà (la foresta di Classe, posta fuori Ravenna), questo particolare ha la funzione di accrescere la credibilità di un luogo simbolico. Il Paradiso terrestre corrisponde alla pienezza dell’essere: è la natura perfetta in cui il Creatore ha inserito la perfetta natura umana e Matelda ne fa parte integrante in quanto rappresenta la bellezza del creato. Non ha senso cercarne la personificazione storica; essa – al di là del valore letterario – raffigura la felicità anteriore alla colpa, la giustizia primigenia, alla cui base sta l’amore, un amore che rinvia a Dio ed alla sua carità.
Nella seconda parte del canto (vv. 88-144), Matelda assume una funzione scopertamente didascalica, spiegando le condizioni privilegiate del luogo, la natura e l’origine dei fiumi che vi scorrono e del vento che vi spira, la questione relativa alla vegetazione terrestre. La sua spiegazione, precisa e realistica, ha un tono ben diverso dalla soave e ardente rappresentazione della sua figura. Ma essa non è un personaggio contraddittorio: trova in questa parte il suo completamento, in quanto con le sue parole chiarisce il significato del Paradiso terrestre. Assumendo la funzione dell’aiutante, essa illumina la mente del pellegrino con i modi che saranno tipici di Beatrice nel Paradiso. Come Beatrice, anch’essa si riferisce al mistero fondamentale della creazione (vv. 91-96, sul contrasto fra bene e male) e queste parole fanno affiorare il significato religioso sottinteso nella contemplazione estatica del mondo edenico della prima parte del canto. Il discorso di Matelda si conclude col riferimento al mito dell’età dell’oro cantato dai poeti classici; esso assume valore di prefigurazione del mondo edenico. Così Dante recupera una gloriosa tradizione letteraria e la concilia con la sua prospettiva religiosa.

[/bibl]Purgatorio – Canto ventottesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Purgatorio_-_Canto_ventottesimo&oldid=38626554 (in data 22 novembre 2011) [/bibl].

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