Canto XXX Purgatorio – (vv 1-145)

Testo Temi e contenuti del Canto XXX del Purgatorio (versi 1-145)

 
Quando il settentrïon del primo cielo,
che né occaso mai seppe né orto
né d’altra nebbia che di colpa velo, 3

e che faceva lì ciascuno accorto
di suo dover, come ’l più basso face
qual temon gira per venire a porto, 6

fermo s’affisse: la gente verace,
venuta prima tra ’l grifone ed esso,
al carro volse sé come a sua pace; 9

e un di loro, quasi da ciel messo,
’Veni, sponsa, de Libano’ cantando
gridò tre volte, e tutti li altri appresso. 12

Quali i beati al novissimo bando
surgeran presti ognun di sua caverna,
la revestita voce alleluiando, 15

cotali in su la divina basterna
si levar cento, ad vocem tanti senis,
ministri e messagger di vita etterna. 18

Tutti dicean: ’Benedictus qui venis!’,
e fior gittando e di sopra e dintorno,
’Manibus, oh, date lilïa plenis!’. 21

Io vidi già nel cominciar del giorno
la parte orïental tutta rosata,
e l’altro ciel di bel sereno addorno; 24

e la faccia del sol nascere ombrata,
sì che per temperanza di vapori
l’occhio la sostenea lunga fïata: 27

così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori, 30

sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva. 33

E lo spirito mio, che già cotanto
tempo era stato ch’a la sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto, 36

sanza de li occhi aver più conoscenza,
per occulta virtù che da lei mosse,
d’antico amor sentì la gran potenza. 39

Tosto che ne la vista mi percosse
l’alta virtù che già m’avea trafitto
prima ch’io fuor di püerizia fosse, 42

volsimi a la sinistra col respitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quando elli è afflitto, 45

per dicere a Virgilio: ’Men che dramma
di sangue m’è rimaso che non tremi:
conosco i segni de l’antica fiamma’. 48

Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die’ mi; 51

né quantunque perdeo l’antica matre,
valse a le guance nette di rugiada
che, lagrimando, non tornasser atre. 54

"Dante, perché Virgilio se ne vada,
non pianger anco, non piangere ancora;
ché pianger ti conven per altra spada". 57

Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
viene a veder la gente che ministra
per li altri legni, e a ben far l’incora; 60

in su la sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
che di necessità qui si registra, 63

vidi la donna che pria m’appario
velata sotto l’angelica festa,
drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio. 66

Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
non la lasciasse parer manifesta, 69

regalmente ne l’atto ancor proterva
continüò come colui che dice
e ’l più caldo parlar dietro reserva: 72

"Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d’accedere al monte?
non sapei tu che qui è l’uom felice?". 75

Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba,
tanta vergogna mi gravò la fronte. 78

Così la madre al figlio par superba,
com’ella parve a me; perché d’amaro
sente il sapor de la pietade acerba. 81

Ella si tacque; e li angeli cantaro
di sùbito ’In te, Domine, speravi’;
ma oltre ’pedes meos’ non passaro. 84

Sì come neve tra le vive travi
per lo dosso d’Italia si congela,
soffiata e stretta da li venti schiavi, 87

poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
sì che par foco fonder la candela; 90

così fui sanza lagrime e sospiri
anzi ’l cantar di quei che notan sempre
dietro a le note de li etterni giri; 93

ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre
lor compartire a me, par che se detto
avesser: ’Donna, perché sì lo stempre?’, 96

lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
de la bocca e de li occhi uscì del petto. 99

Ella, pur ferma in su la detta coscia
del carro stando, a le sustanze pie
volse le sue parole così poscia: 102

"Voi vigilate ne l’etterno die,
sì che notte né sonno a voi non fura
passo che faccia il secol per sue vie; 105

onde la mia risposta è con più cura
che m’intenda colui che di là piagne,
perché sia colpa e duol d’una misura. 108

Non pur per ovra de le rote magne,
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
secondo che le stelle son compagne, 111

ma per larghezza di grazie divine,
che sì alti vapori hanno a lor piova,
che nostre viste là non van vicine, 114

questi fu tal ne la sua vita nova
virtüalmente, ch’ogne abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova. 117

Ma tanto più maligno e più silvestro
si fa ’l terren col mal seme e non cólto,
quant’elli ha più di buon vigor terrestro. 120

Alcun tempo il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
meco il menava in dritta parte vòlto. 123

Sì tosto come in su la soglia fui
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui. 126

Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virtù cresciuta m’era,
fu’ io a lui men cara e men gradita; 129

e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
che nulla promession rendono intera. 132

Né l’impetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti
lo rivocai: sì poco a lui ne calse! 135

Tanto giù cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran già corti,
fuor che mostrarli le perdute genti. 138

Per questo visitai l’uscio d’i morti,
e a colui che l’ ha qua sù condotto,
li preghi miei, piangendo, furon porti. 141

Alto fato di Dio sarebbe rotto,
se Letè si passasse e tal vivanda
fosse gustata sanza alcuno scotto 144

di pentimento che lagrime spanda".


  • Apparizione di Beatrice – versi 1-39

  • Sparizione di Virgilio – vv. 40-54

  • Rimproveri di Beatrice – vv. 55-145

Sintesi
Continua la descrizione della processione simbolica comparsa nel canto precedente, che si ferma all’inizio di questo canto. Uno dei ventiquattro anziani che la precedevano (questi ventiquattro «seniori» sono detti qui «gente verace», al v. 7, perché rappresentano i libri della Bibbia, che è veritiera in quanto ispirata da Dio), come ispirato dal cielo, acclama tre volte, seguito da tutti gli altri: «Veni, sponsa, de Libano!», “Vieni, o sposa, dal Libano”, parole del Cantico dei Cantici di Salomone nelle quali tradizionalmente si identifica la sponsa con la Chiesa. In risposta si levano le voci degli angeli sul carro, che cantano «Benedictus qui venis!» — “Benedetto tu che vieni”, le parole che nel Nuovo Testamento gli ebrei rivolgono a Gesù quando questi entra in Gerusalemme — e «Manibus, o date, lilia plenis!» — “Spargete gigli a piene mani”, citazione dall’Eneide VI, dove si compiangeva la morte prematura di Marcello, erede di Augusto —.
È l’alba — momento allegorico di rinascita e speranza — e con questa similitudine viene introdotta l’apparizione di Beatrice, che appare velata dalla nuvola di fiori gettatale dagli angeli, vestita con un abito rosso fuoco (allegoria della carità), coperto da un mantello verde (allegoria della speranza), e con un velo candido (allegoria della fede: quindi le tre virtù teologali), e cinta da una corona di ulivo, pianta sacra a Minerva che rappresenta la sapienza. Dante non può ancora vederla, ma già ne sente la potenza — secondo un modulo tipico della poesia di Cavalcanti — e, tremante, si volge a Virgilio pronto a citare le sue stesse parole «Conosco i segni de l’antica fiamma» (v. 48: tratti dall’Eneide IV, ov’erano pronunciati da Didone): ma Virgilio è sparito, se n’è andato, e Dante per lo sconforto piange.

Apparizione di Beatrice, William Blake
Virgilio se n’è andato, alle soglie del Paradiso terrestre, perché la sua figura rappresenta la ragione umana, e la sua funzione è esaurita: perché Dante apprenda i misteri della fede e si avvicini a Dio occorre ora la ragione divina, la teologia, rappresentata da Beatrice. La scomparsa di Virgilio è carica di pathos, soprattutto in quanto non viene descritta direttamente, e fa piangere Dante, che in tal modo sporca di nuovo le proprie guance pulite dalla rugiada prima di entrare nel Purgatorio (vedi il canto I). A rimproverarlo di questa manifestazione umana interviene bruscamente Beatrice, chiamandolo per nome (unica volta in tutta la Commedia, come ci ricorda Dante stesso ai vv. 62-63).
“Dante, non piangere ora, per la partenza di Virgilio: dovrai infatti piangere per ben altro dolore!”. Beatrice si erge sul carro di là dal fiume Lete come un ammiraglio, regalmente proterva, continuando: “Guardami, sono proprio io, Beatrice! Come ti sei permesso di accedere al monte (del Purgatorio)? Non sapevi che qui l’uomo è felice?”. Con sarcasmo e ironia gli rimprovera il suo pianto, facendogli abbassare gli occhi dalla vergogna, e gli angeli intervengono in suo favore cantando un salmo di fede nella misericordia divina: «In te, Domine, speravi», fino a «… pedes meos». Per la vergogna, allora, Dante piange di nuovo.
In risposta agli angeli, ma in realtà rivolta a lui, Beatrice espone allora le colpe di lui, perché la colpa e il dolore — dice — siano in eguale misura (perché cioè Dante si penta quanto deve del suo peccato): “Non solo per l’influsso dei cieli alla sua nascita, ma anche per la generosità della grazia divina, troppo alta per essere nota agli uomini, Dante ebbe tali potenzialità nella sua giovinezza, che avrebbe potuto dare ammirevoli prove di sé. Io lo sostenni per qualche tempo con il mio volto, mostrando i miei giovani occhi a lui e indirizzandolo sulla retta via, ma quando morii, egli si distolse da me, e si diede a un’altra: quando ascesi da carne a spirito e crebbi in bellezza e virtù, io gli fui meno gradita, ed egli si diresse su una via non vera, seguendo false immagini di bene che non rendono per intero ciò che promettono. Né mi valse richiedere ispirazioni a Dio, con le quali lo richiamai in sogno e per altri mezzi: così poco gliene importò! Cadde così in basso, che per salvarlo dalla perdizione non ci fu altro modo che mostrargli le perdute genti (l’Inferno), ed è per questo che visitai il Limbo, che è la soglia dell’Inferno, e piangendo chiesi a Virgilio di guidarlo. La volontà divina sarebbe infranta, se egli passasse il Lete ora, senza offrire in compenso un pentimento tale da farlo piangere.”
Analisi del canto

Canto XXX, Sandro Botticelli
Si assiste in questi canti a un innalzamento dello stile, che prelude già alla maggiore difficoltà del Paradiso. Notevole è l’impasto dantesco di fonti classiche e cristiane, come per esempio nelle molteplici citazioni tratte soprattutto da Virgilio e dalla Bibbia.
Al verso 55, unica ricorrenza di tutta la Divina Commedia (si tratta quindi di un hapax), compare il nome di Dante, prima parola pronunciata da Beatrice — il cui nome è pure citato, pochi versi dopo —, a meglio sottolineare l’importanza del passo, la forte connotazione autobiografica, ma anche religiosa, di una letteratura che si caratterizza come vocazione. Beatrice era stata celebrata nella Vita Nova, nella quale, secondo le convenzioni stilnovistiche, si parla di un amore puro, ma riferito sempre a una donna terrena: qui Beatrice perde i suoi connotati reali per assumere una funzione allegorica; in questo canto, poi, ella non è totalmente visibile, nascosta dal velo e dalla nuvola di fiori, tuttavia la sua potenza si fa sentire. La sua è una presenza severa e imperiosa, è quella di un «ammiraglio» (v. 58), ma anche quella di una madre (si noti che poco prima anche Virgilio era stato indirettamente paragonato a una madre (v.44), a meglio sottolineare la continuità della funzione rivestita dai due personaggi): si delineano così due aspetti complementari di Beatrice che meglio si definiranno nel Paradiso, quello della maestra, guida, e quello della madre affettuosa, che fa piangere il figlio (il tema del pianto è molto presente in tutto il canto, e vengono rappresentati diversi tipi di pianto: pianto di dolore, pianto liberatorio, pianto di commozione, partecipazione, e infine pianto di pentimento), ma sempre per il suo bene.

[/bibl] Purgatorio – Canto trentesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Purgatorio_-_Canto_trentesimo&oldid=40719606 (in data 22 novembre 2011) [/bibl].

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