I Promessi Sposi commento
Introduzione
I promessi sposi è un romanzo storico di Alessandro Manzoni, considerato il più importante romanzo della letteratura italiana e l’opera letteraria più rappresentativa del Risorgimento italiano. Fu pubblicato in una prima versione dal 1824 al 1827 e in seguito rivisto dallo stesso autore e ripubblicato nella versione definitiva fra il 1840 e il 1842.
Ambientato nel 1628 in Italia, durante l’occupazione spagnola, fu il primo esempio di romanzo storico della letteratura italiana. Benché l’ambientazione fosse stata scelta da Manzoni con l’evidente intento di alludere al dominio austriaco sul nord Italia, il romanzo è anche noto per l’efficace descrizione di alcuni episodi storici del XVII secolo, soprattutto dell’epidemia di peste del 1629-1631.
Il romanzo di Manzoni viene considerato non solo una pietra miliare della letteratura italiana, ma anche un passaggio fondamentale nella nascita stessa della lingua italiana. È una delle letture obbligate del sistema scolastico italiano ed è la fonte di molte espressioni entrate nell’uso comune della lingua.
L’opera
È considerata l’opera più rappresentativa del Risorgimento e del romanticismo italiano e una delle massime opere della letteratura italiana. Dal punto di vista strutturale è il primo romanzo moderno nella storia di tutta la letteratura italiana. L’opera ebbe anche un’enorme influenza nella definizione di una lingua nazionale italiana[1].
Considerato principalmente un romanzo storico, in realtà l’opera va ben oltre i ristretti limiti di tale genere letterario: il Manzoni infatti, attraverso la ricostruzione dell’Italia del ‘600, non tratteggia soltanto un grande affresco storico, ma prefigura degli evidenti parallelismi con i processi storici di cui era testimone nel suo tempo, non limitandosi ad indagare il passato ma tracciando anche una idea ben precisa del senso della storia, e del rapporto che il singolo ha con gli eventi storici che lo coinvolgono[2].
È al tempo stesso romanzo di formazione (si veda in particolare il percorso umano di Renzo), ma per alcune ambientazioni e vicende presenti (la Monaca di Monza, il rapimento di Lucia segregata poi nel castello), ha anche caratteristiche che lo possono accomunare ai romanzi gotici sette-ottocenteschi. Il romanzo tuttavia è anche e soprattutto filosofico, profondamente cristiano, dominato dalla presenza della Provvidenza nella storia e nelle vicende umane. Il male è presente, il gioco dei contrapposti egoismi genera effetti a volte disastrosi nella storia, ma Dio non abbandona gli uomini, e la fede nella Provvidenza, nell’opera manzoniana, permette di dare un senso ai fatti e alla storia dell’uomo.
« Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani, e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. (I promessi sposi, cap. XXXVIII) »
In particolare il romanzo ha un suo punto di forza nella scelta e nella raffigurazione dei personaggi, resi tutti con grande forza narrativa, scolpiti a tutto tondo dal punto di vista psicologico e umano, tanto che alcuni di essi sono diventati degli stereotipi umani, usati ancora oggi nel linguaggio comune (si pensi ad esempio a un “don Abbondio” o alla figura di “un Azzeccagarbugli”). Una rappresentazione psicologica così accurata dei suoi personaggi fa sì che, salvo poche eccezioni, quasi nessuno di essi sia completamente “positivo” o “negativo”. Anche il malvagio trova un’occasione di umanità e redenzione, così come anche il personaggio positivo, quale ad esempio Renzo, non è immune da difetti, azioni violente e riprovevoli ed errori anche gravi. La stessa Lucia viene tacciata spesso come egoista e addirittura “solipsista”, e non sempre a torto: il discorso di padre Cristoforo a Lucia al Lazzaretto, benché paterno e benevolo, è durissimo. Lo stesso Padre Cristoforo, il personaggio forse più positivo del romanzo assieme al Cardinale Federigo Borromeo (e anch’egli non è esente da tragici errori, come si vede dal Romanzo stesso e dalla “Colonna Infame”), ha anche lui una grave macchia nel suo passato. È anche questa caratteristica quindi a consentire al romanzo di elevarsi ben al di sopra del livello medio dei romanzi storici e gotici dell’Ottocento, destinati ad un pubblico più incolto.
La maestria del Manzoni nel tratteggiare i suoi personaggi emerge soprattutto nei dialoghi, scritti con sottile cura, che spesso sono i veri rivelatori dei personaggi, della loro psicologia e delle loro motivazioni.
La stesura e le edizioni
La prima idea del romanzo risale al 24 aprile 1821[4], quando Manzoni cominciò la stesura del Fermo e Lucia, componendo in circa un mese e mezzo i primi due capitoli e la prima stesura dell’Introduzione. Interruppe però il lavoro per dedicarsi al compimento dell’Adelchi, al progetto poi accantonato della tragedia Spartaco, e alla scrittura dell’ode Il cinque maggio.
Dall’aprile del 1822 il Fermo fu ripreso con maggiore lena e portato a termine il 17 settembre 1823 (sarebbe stato pubblicato nel 1915 da Giuseppe Lesca col titolo “Gli sposi promessi”). In questa prima edizione è presente, in nuce, la trama del romanzo. Tuttavia, il Fermo e Lucia non va considerato come laboratorio di scrittura utile a preparare il terreno al futuro romanzo, ma come opera autonoma, dotata di una struttura interna coesa e del tutto indipendente dalle successive elaborazioni dell’autore. Rimasto per molti anni inedito, il Fermo e Lucia viene oggi guardato con grande interesse. Anche se la tessitura dell’opera è meno elaborata di quella de I promessi sposi, nei quattro tomi del Fermo e Lucia si ravvisa un romanzo irrisolto a causa delle scelte linguistiche dell’autore che, ancora lontano dalle preoccupazioni che preludono alla terza ed ultima scrittura dell’opera, crea un tessuto verbale ricco, dove s’intrecciano e si alternano tracce di lingua letteraria, elementi dialettali, latinismi e prestiti di lingue straniere. Nella seconda Introduzione a Fermo e Lucia, l’autore definì la lingua usata
« un composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi, un po’ anche latine; di frasi che non appartengono a nessuna di queste categorie, ma sono cavate per analogia e per estensione o dall’una o dall’altra di esse. »
Anche i personaggi appaiono meno edulcorati e forse più pittoreschi di quella che sarà la versione definitiva.
Sullo sfondo la Lombardia del XVII secolo è dipinta come scenario non pacificato, il cui potere politico coincide con l’arbitrio del più forte, la cui ragione (come insegna La Fontaine) è sempre la migliore. Romanzo dell’arbitrio e della violenza, mostra l’ eterna oppressione dei potenti nei confronti degli “umili”, riprendendo il tema già presente nell’Adelchi dei “due popoli”, quello degli oppressi e quello degli oppressori, vicenda eterna di ogni tempo.
Una seconda stesura dell’opera (la cosiddetta Ventisettana, che è la prima edizione a stampa) fu pubblicata da Manzoni nel 1827, con il titolo I promessi sposi, storia milanese del sec. XVII, scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni, e riscosse notevole successo. La struttura più equilibrata (quattro sezioni di estensione pressoché uguale), la decisa riduzione di quello che appariva un “romanzo nel romanzo”, ovvero la storia della Monaca di Monza, la scelta di evitare il pittoresco e le tinte più fosche a favore di una rappresentazione più aderente al vero sono i caratteri di questo che è in realtà un romanzo diverso da Fermo e Lucia.[3]
Manzoni non era, tuttavia, soddisfatto del risultato ottenuto, poiché ancora il linguaggio dell’opera era troppo legato alle sue origini lombarde. Nello stesso 1827 egli si recò, perciò, a Firenze, per risciacquare – come disse – i panni in Arno, e sottoporre il suo romanzo ad un’ulteriore e più accurata revisione linguistica, ispirata al dialetto fiorentino considerato lingua unificatrice. Ciononostante non sono pochi i lettori del romanzo a preferire la ventisettana per la ricchezza delle sue scelte lessicali, e per il retrogusto ancora schiettamente lombardo, che rendono questa versione decisamente più viva rispetto a quella successiva che viene, normalmente, stampata e di solito studiata a scuola.
Tra il 1840 e il 1842, Manzoni pubblicò quindi la terza ed ultima edizione de I promessi sposi, la cosiddetta Quarantana, cui oggi si fa normalmente riferimento. Fondamentale, all’interno dell’economia dell’opera, il ruolo che assumono le illustrazioni del piemontese Francesco Gonin, cui l’autore stesso si rivolge per arricchire il testo di un apparato iconografico. Il rapporto fra Manzoni e Gonin è di grande intesa, lo scrittore guida la mano del pittore nella composizione di questi quadretti. La forza espressiva delle litografie del Gonin è impressionante, al lettore si rivela un mondo vastissimo di volti e fisionomie, sempre varissime; personaggi che passano dal solenne al grottesco, dall’ascetico al torbido, in una composizione che non trascura mai quella certa, accattivante, ironia che ogni lettore del romanzo ben conosce. Su quest’ultimo punto si consideri, ad esempio, la vignetta che chiude l’introduzione, dove è di scena lo stesso scrittore, in camicione da notte e pantofole, mentre sfoglia davanti ad un rassicurante camino un librone, che potrebbe essere tanto il resoconto secentesco della vicenda, quanto il romanzo che, chi legge ha sotto gli occhi in quel momento. La più recente critica manzoniana, si pensi solamente a Ezio Raimondi o a Salvatore Silvano Nigro, ha lungamente sottolineato il valore esegetico di questo apparato di immagini, vero e proprio paratesto alla narrazione delle vicende matrimoniali dei due protagonisti. Le moderne edizioni, che non si rifanno ai criteri della stampa anastatica, privano i lettori di uno strumento essenziale alla comprensione del testo. Oggi sfugge anche ai più colti fruitori dell’opera di Manzoni che uno dei nodi principali de I promessi sposi consiste proprio nel rapporto che intercorre fra lettera e immagine.
Secondo un tipico cliché della narrativa europea fra sette e ottocento, il narratore prende le mossa da un manoscritto anonimo del XVII secolo, che racconta la storia di Renzo e Lucia. Nulla sappiamo dell’autore di questo manoscritto, salvo che ha conosciuto da vicino i protagonisti della vicenda, e non si esclude che lo stesso Renzo possa aver reso edotto questo curioso secentista lombardo, della sua storia. Il topos della trascrizione della vicenda narrata da un testo o trascritta dalla voce diretta di uno dei protagonisti permette all’autore di giocare sull’ambiguità stessa che sta alla base del moderno romanzo realistico-borghese, ovvero il suo essere un componimento di fantasia che, spesso, non disdegna di proporsi ai suoi lettori come documento storico reale ed affidabile.
In appendice al testo c’è la Storia della colonna infame; in cui Manzoni ricostruisce il clima di intolleranza e ferocia in cui si svolgevano gli assurdi processi contro gli untori, al tempo della peste raccontata del romanzo .
Genesi interna e genesi esterna
La genesi interna del romanzo I promessi sposi è costituita dalle idee di partenza, dall’ideologia di base che la poetica di Manzoni doveva propagandare. È stata evinta soprattutto grazie alle lettere che lo stesso scrisse mentre stava preparando le diverse edizioni dell’opera. Il suo romanzo era fondato, infatti, su tre perni principali:
Il vero per soggetto: cioè l’autore mette al centro la ricostruzione storica degli eventi che caratterizzarono quei luoghi a quel tempo.
L’utile per scopo: ovvero l’opera deve mirare ad educare l’uomo ai valori che Manzoni vuole diffondere.
L’interessante per mezzo: cioè l’argomento del romanzo deve essere moderno, popolare, e quindi avere forti legami con la realtà contadina ed operaia.
La genesi esterna, invece, comprende tutte le letture e gli autori che hanno ispirato Manzoni. Tra le principali abbiamo l’Ivanhoe di Walter Scott da cui l’autore prende l’ispirazione per la tipologia del romanzo che sarà a sfondo storico e la Storia Milanese (del 1600) di Giuseppe Ripamonti, da cui l’autore prende, appunto, la maggior parte degli avvenimenti storici che verranno intrecciati con le vicende dei personaggi.
L’ambientazione geografica
Il romanzo è ambientato nella Lombardia del Seicento, più precisamente nella zona che va dal lago di Como e l’Adda a
Monza e Milano. Questa scelta non è casuale dato che Manzoni scrive di luoghi a lui familiari.
Fonti manzoniane
F. Borromeo, De pestilentia quae Mediolani anno 1630 magnam stragem edit.
C.G. Cavatio della Somaglia, Alleggiamento dello Stato di Milano per le imposte e loro ripartimenti.
L. Ghirardelli, Il memorando contagio seguito in Bergamo l’anno 1630.
P. La Croce, Memoria delle cose notabili successe in Milano intorno al mal contagioso l’anno 1630.
A. Lampugnano, La pestilenza seguita in Milano l’anno 1630.
L.A. Muratori, Del governo della peste e delle maniere di guardarsene.
G. Ripamonti, De peste quae fuit anno 1630 libri V desumpti ex annalibus urbis.
F. Rivola, Vita di Federigo Borromeo Cardinale del titolo di Santa Maria degli Angeli, ed Arcivescovo di Milano.
F. Verri, Osservazioni sulla tortura.
Citazioni
I promessi sposi hanno dato origine a diverse frasi ed espressioni che in Italia sono entrate nell’uso comune. Alcuni esempi: Da “Questo matrimonio non s’ha da fare” a “Perpetua”, che ora identifica per antonomasia le collaboratrici dei parroci; da “latinorum” a “Carneade”, per definire un illustre sconosciuto, e ancora da “Azzecca-garbugli” per definire un avvocato di scarsa etica professionale (o, in generale un arruffone che incanta il prossimo solo a parole), a “i capponi di Renzo” per indicare in senso figurato soggetti che invece di allearsi continuano a litigare fra loro anche quando sono prossimi a soccombere.
Sono spesso citati inoltre interi brani del romanzo che vengono tuttora imparati a memoria e recitati, come “Addio, monti sorgenti dall’acque…” e “Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno…”, tutti riferimenti al paesaggio dei dintorni lecchesi.
Dino Buzzati, autore del ‘900, ha scritto, sulla base del capitolo manzoniano sulla malattia di don Rodrigo, il racconto La peste motoria, vivace trasposizione in cui la malattia aggredisce non più gli uomini ma le autovetture, e i monatti sono dipendenti degli sfasciacarrozze.
Adattamenti
Opera lirica
Versioni operistiche:
I promessi sposi di Amilcare Ponchielli (1856 – seconda versione 1872)
I promessi sposi di Errico Petrella (1869)
Musical
I promessi sposi Musical di Tato Russo (in scena dal 2000 al 2003) con Michel Altieri (Renzo) e Barbara Cola (Lucia) -Premio Massimini come miglior attore a Michel Altieri.
Cinema
Versioni cinematografiche:
I promessi sposi (1909)
I promessi sposi (1913)
I promessi sposi (1923)
I promessi sposi (1941)
I promessi sposi (1964)
Sceneggiati
Versioni televisive:
I promessi sposi regia di Sandro Bolchi (1967) principali interpreti: Massimo Girotti, Paola Pitagora, Nino Castelnuovo, Tino Carraro, Luigi Vannucchi, Salvo Randone.
I promessi sposi regia di Salvatore Nocita (1989) principali interpreti : Alberto Sordi, Danny Quinn, Burt Lancaster, Franco Nero, Helmut Berger.
I promessi sposi regia di Massimo Lopez, Anna Marchesini e Tullio Solenghi (1990) (parodia)
Renzo e Lucia regia di Francesca Archibugi (2004) principali interpreti: Stefano Scandaletti, Michela Macalli, Paolo Villaggio, Laura Morante, Carlo Cecchi, Stefano Dionisi, Gigio Alberti, Stefania Sandrelli
Note
1. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana,Einaudi Scuola, Torino 1992, pp. 651-653
2. Alessandro Manzoni, I promessi sposi, a cura di Ezio Raimondi e Luciano Bottoni, Principato, Milano 1988, pp.VIII-XI
3. Lanfranco Caretti, Manzoni.Ideologia e stile, Einaudi, Torino 1975, pp.46-53
[bibl]I promessi sposi, http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=I_promessi_sposi&oldid=29045347 (in data 10 gennaio 2010).[/bibl]