Canto II Inferno (vv 1-42) – Perplessità e timori di Dante

Testo e commento del Canto II dell’Inferno (versi 1-42) – Perplessità e timori di Dante

Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno 3

m’apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra. 6

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate. 9

Io cominciai: "Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s’ell’è possente,
prima ch’a l’alto passo tu mi fidi. 12

Tu dici che di Silvïo il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente. 15

Però, se l’avversario d’ogne male
cortese i fu, pensando l’alto effetto
ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale 18

non pare indegno ad omo d’intelletto;
ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero
ne l’empireo ciel per padre eletto: 21

la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u’ siede il successor del maggior Piero. 24

Per quest’andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua vittoria e del papale ammanto. 27

Andovvi poi lo Vas d’elezïone,
per recarne conforto a quella fede
ch’è principio a la via di salvazione. 30

Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri ’l crede. 33

Per che, se del venire io m’abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono". 36

E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
sì che dal cominciar tutto si tolle, 39

tal mi fec’ïo ’n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la ’mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta. 42



Dante, dopo aver trascorso una notte e un giorno tra la selva e il pendio del colle, verso sera inizia il suo viaggio nell’oltretomba. Sulla terra tutti riposano, solo Dante si appresta ad intraprendere un viaggio duro (la guerra) e forse superiore alle sue forze: si tratta infatti di un viaggio sì del cammino quindi fisico, ma anche de la pietade cioè spirituale (tutta la Divina Commedia viene infatti indicata come un percorso di conversione, attraverso l’espiazione graduale del peccato nell’Inferno, la purificazione nel Purgatorio e la beatificazione nel Paradiso). Il tutto verrà raccontato dalla mente che non erra cioè dalla memoria che si ricorda bene quello che ha visto.
Il secondo canto è il proemio alla cantica infernale e per questo Dante invoca le Muse per aiutarlo nel duro compito di riferire proprio senza errori tutto quello che è stato visto: qui si vedrà la nobiltà del suo ingegno di poeta e di uomo.
Questa riflessione sulla grandezza della sua mente provoca in Dante una riflessione sulla sua virtù: egli chiede al maestro di guardare s’ell’è possente, cioè all’altezza, prima di partire per l’alto passo (il difficile viaggio, più adatto al senso del canto piuttosto che riferito al difficile compito di riportare per iscritto quello che ha visto).
Altri hanno avuto esperienza, ancora vivi (mortali), nel regno dell’oltretomba:
Enea, padre di Silvio che andò nell’Averno sensibilmente, cioè con il proprio corpo e i propri sensi, accompagnato dalla Sibilla: Dio (avversario d’ogne male) glielo concesse perché sapeva l’alto compito che l’attendeva, la fondazione di Roma caput mundi e sede della Chiesa apostolica (il loco santo / u’ (ubi, cioè “dove”) siede il successor del maggior Pietro), quindi era tutt’altro che indegno. Proprio per quella visita nell’altro mondo egli capì cose che furono la causa della sua vittoria e (saltando all’era cristiana) del papale ammanto.
Il “Vas d’elezione”, ovvero San Paolo (secondo la Seconda lettera ai Corinzi dove l’apostolo dice di essere stato rapito dal terzo cielo) che aveva avuto da Dio il compito di arrecare conforto alla fede cristiana, bisognosa, nel periodo delle origini, di conferma e coraggio.
« Ma io, perché venirvi? o chi ‘l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;

me degno a ciò né io né altri ‘l crede. »
(vv. 30-33)
Dante dunque non si reputa degno di tale compito (né se stesso né nessun altro), perché teme che (sul testo la costruzione di temo è alla latina con la negazione come timeo ne) se venisse l’impresa sarebbe folle: e arriva anche a spronare Virgilio di essere savio e capire. Così, in quell’oscura costa Dante diviene come colui che disvuol ciò che volle, perché nuovi pensieri gli hanno fatto cambiare idea e ora distoglie il pensiero dal cominciare l’impresa: quindi pensando e valutando le proprie forze Dante si pente della sua affrettata accettazione (cotanto tosta).

[bibl]Contributori di Wikipedia, “Inferno – Canto secondo”, Wikipedia, L’enciclopedia libera, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_secondo&oldid=44595233 (in data 5 novembre 2011).[/bibl]

Lascia un commento