Canto X Inferno – (vv 94-120) – Limiti della preveggenza dei dannati
Testo e commento del Canto X dell’Inferno (versi 94-120) – I limiti della preveggenza dei dannati
"Deh, se riposi mai vostra semenza", prega’ io lui, "solvetemi quel nodo che qui ha ’nviluppata mia sentenza. 96 El par che voi veggiate, se ben odo, dinanzi quel che ’l tempo seco adduce, e nel presente tenete altro modo". 99 "Noi veggiam, come quei c’ ha mala luce, le cose", disse, "che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce. 102 Quando s’appressano o son, tutto è vano nostro intelletto; e s’altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano. 105 Però comprender puoi che tutta morta fia nostra conoscenza da quel punto che del futuro fia chiusa la porta". 108 Allor, come di mia colpa compunto, dissi: "Or direte dunque a quel caduto che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto; 111 e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto, fate i saper che ’l fei perché pensava già ne l’error che m’avete soluto". 114 E già ’l maestro mio mi richiamava; per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio che mi dicesse chi con lu’ istava. 117 Dissemi: "Qui con più di mille giaccio: qua dentro è ’l secondo Federico e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio". 120
Il colloquio politico tra Dante e Farinata si conclude, ma Dante non è riuscito a farsi un’idea completa e precisa di Farinata perché non ha chiaro se egli veda nel presente come vede nel futuro. Ultimo passaggio fondamentale di questo canto quindi è dovuto al fatto che più volte Dante riceve profezie sul suo destino e sull’Italia dai dannati, ma ancora più spesso si vedrà chiedere dalle anime infernali cosa accade nel regno dei vivi.
E Farinata così risponde (vv.100-105):
“Noi veggiam, come quel c’ha mala luce,
le cose”, disse, “che ne son lontano;
cotanto ancor ne splende il sommo duce.
Quando s’apprestano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
nulla sapem di vostro stato umano.”
“Noi, come chi ha la vista difettosa
le cose” disse “vediamo finché sono nel futuro;
in questo solo ancor risplende in noi la luce di Dio.
Quando le cose si avvicinano o si compiono, è vano
il nostro intelletto; e se altro non ci informa,
non sappiamo nulla delle vicende umane.”
Dato significativo è che la capacità divinatoria dei dannati venga illustrata in questo canto, Farinata conclude il discorso avvertendo che quando sarà venuto il regno di Dio, presente, futuro e passato coincideranno e tutta la coscienza dei dannati scomparirà all’istante.
È interessante notare che questa capacità di preveggenza, valida per tutti i dannati (infatti ne danno prova Ciacco, goloso, Farinata, epicureo, e Vanni Fucci, ladro) deriva dal contrappasso di un peccato comune a tutti i dannati: l’aver pensato solo al presente, e mai alla vita nell’oltretomba, futura.
Dante, risolta la questione sulla quale si stava scervellando quando Cavalcanti gli chiedeva della sorte del figlio, prega Farinata di avvertire il compagno di avello che Guido, ancora vivo, cammina sulla terra. Virgilio incalza per andare oltre e Dante può solo fare un’ultima fugace domanda su chi siano gli altri spiriti nel sepolcro di Farinata. Egli risponde che ve ne sono più di mille, tra i quali Federico II, disincantato Imperatore noto anche tra i guelfi come l’Anticristo, e il Cardinale, cioè Ottaviano degli Ubaldini, un uomo di chiesa che nella Chiesa credeva ben poco, secondo i cronisti antichi.
[bibl]Inferno – Canto decimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_decimo&oldid=44472221 (in data 8 novembre 2011).[/bibl]