Canto XXI Inferno- (vv 22-57) – Arrivo di un peccatore

Testo e commento del Canto XXI dell’Inferno (versi 22-57)-Arrivo di un peccatore

Mentr’io là giù fisamente mirava,
lo duca mio, dicendo "Guarda, guarda!",
mi trasse a sé del loco dov’io stava. 24

Allor mi volsi come l’uom cui tarda
di veder quel che li convien fuggire
e cui paura sùbita sgagliarda, 27

che, per veder, non indugia ’l partire:
e vidi dietro a noi un diavol nero
correndo su per lo scoglio venire. 30

Ahi quant’elli era ne l’aspetto fero!
e quanto mi parea ne l’atto acerbo,
con l’ali aperte e sovra i piè leggero! 33

L’omero suo, ch’era aguto e superbo,
carcava un peccator con ambo l’anche,
e quei tenea de’ piè ghermito ’l nerbo. 36

Del nostro ponte disse: "O Malebranche,
ecco un de li anzïan di Santa Zita!
Mettetel sotto, ch'i' torno per anche 39

a quella terra, che n’è ben fornita:
ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturo;
del no, per li denar, vi si fa ita". 42

Là giù ’l buttò, e per lo scoglio duro
si volse; e mai non fu mastino sciolto
con tanta fretta a seguitar lo furo. 45

Quel s’attuffò, e tornò sù convolto;
ma i demon che del ponte avean coperchio,
gridar: "Qui non ha loco il Santo Volto! 48

qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
Però, se tu non vuo’ di nostri graffi,
non far sopra la pegola soverchio". 51

Poi l’addentar con più di cento raffi,
disser: "Coverto convien che qui balli,
sì che, se puoi, nascosamente accaffi". 54

Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli
fanno attuffare in mezzo la caldaia
la carne con li uncin, perché non galli. 57


Mentre il poeta è così preso dall’osservazione non si accorge di una nera ombra che gli si avvicina alle spalle. «Guarda, guarda!» ammonisce Virgilio, e Dante si gira, ma «come l’uom cui tarda / di veder quel che li convien fuggire» egli rimane ghiacciato dalla paura del pericolo ormai troppo vicino (da notare la suspense finché il pericolo non viene esplicitamente descritto). Si tratta di un «diavol nero», che dietro ai due poeti sta risalendo il ponte di corsa ad ali spiegate. Porta sulle spalle, sull’«omero aguto e superbo» un peccatore piegato in due e con un uncino gli attraversa il «nerbo», il garretto, come si fa con la selvaggina. Dante ha paura ma non sviene. Come in una farsa il diavolo non si cura minimamente dei due pellegrini e inizia a vociare: (parafrasi) “Oh Malebranche, ecco uno degli anziani (cioè dei priori) di Santa Zita (Lucca, città devota alla santa)! Mettetelo sotto, che io torno in quella città che è ben fornita di questi peccatori: lì sono tutti barattieri, tranne Bonturo eh! (frase ironica, Bonturo Dati era rinomatamente il più corrotto di tutta Lucca), lì il no con il denaro si fa diventare ita, (cioè passata, una deliberazione ecc.)”.
Nella pece sono puniti quindi i barattieri, che nel lessico giuridico del Medioevo indicavano generalmente gli imbroglioni che arraffavano denaro sottobanco o ottenevano altri vantaggi con la furbizia e quindi, più nello specifico, anche i concussori o magistrati corrotti. Il contrappasso è piuttosto generico e consiste nel fatto che come in vita essi agirono al coperto, adesso sono immersi nel buio nero della pece (come sintetizzato al verso 54). I diavoli, verrà detto presto, hanno il compito di uncinare chi tenta di uscire anche solo per affacciarsi, un po’ come fanno gli sguatteri dei cuochi quando spingono giù le pietanze che affiorano da una pentola che bolle (similitudine ai versi 55-57). Essi non sono interpretabili secondo un contrappasso preciso, ma la loro presenza innescherà un episodio tra il faceto e il grottesco che avrà come tema principale quello della furberia e che verrà sviluppato anche nei prossimi due canti.
Il diavolo quindi scarica il suo carico e riparte indietro verso una roccia, più veloce di un mastino che insegua un ladro («lo furo»). Inizia qui la lunga e prolifica serie di similitudini animalesche che Dante usa continuamente in questa bolgia: sono dovute sia alla bestialità di questi dannati, sia a sottolineare lo stile comico delle scene che il poeta si appresta a mettere su, dalla struttura in tutto e per tutto simile a quella delle commedie popolaresche da palcoscenico.
Il dannato, secondo studi d’archivio sulla data di morte di un membro del consiglio degli anziani lucchese nel periodo pasquale del 1300, sarebbe Martino Bottario.
Dopo essere stato tuffato nella pece dal diavolo egli «torn[a] sù convolto», sconvolto (o “piegato”, secondo l’italiano antico) dal bollore e grondante di pece. Allora i diavoli, nascosti sotto il ponte, iniziano a prenderlo in giro beffardamente con ironia malvagia: «Qui non ha loco il Santo Volto!» (parafrasi: “Eh no, qui non c’è il Volto Santo di Lucca!”) che si può intendere sia come se il dannato fosse tornato su per pregare la santa reliquia del Duomo di Lucca, sia, in maniera più blasfema che ben si addice al linguaggio dei diavoli, come il dannato tutto nero si sia drizzato a mo’ del Volto Santo, che è appunto un Cristo di legno nero; seguitano poi “qui non si nuota come nel Serchio! Se non vuoi i nostri graffi non venire a galla, non fare da coperchio alla pece!” e mentre l'”addentano” con cento uncini («raffi») contuinuano con il loro comico sarcasmo: “Qui conviene ballare al coperto, così come hai arraffato nascostamente”.

[bibl]Inferno – Canto ventunesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ventunesimo&oldid=42382081 (in data 14 novembre 2011).[/bibl]

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