Canto XXIX Inferno – (vv 1-36) – Geri del Bello
Testo e commento del Canto XXIX dell’Inferno (versi 1-36)- Geri del Bello
La molta gente e le diverse piaghe avean le luci mie sì inebrïate, che de lo stare a piangere eran vaghe. 3 Ma Virgilio mi disse: "Che pur guate? perché la vista tua pur si soffolge là giù tra l’ombre triste smozzicate? 6 Tu non hai fatto sì a l’altre bolge; pensa, se tu annoverar le credi, che miglia ventidue la valle volge. 9 E già la luna è sotto i nostri piedi; lo tempo è poco omai che n’è concesso, e altro è da veder che tu non vedi". 12 "Se tu avessi", rispuos’io appresso, "atteso a la cagion per ch’io guardava, forse m’avresti ancor lo star dimesso". 15 Parte sen giva, e io retro li andava, lo duca, già faccendo la risposta, e soggiugnendo: "Dentro a quella cava 18 dov’io tenea or li occhi sì a posta, credo ch’un spirto del mio sangue pianga la colpa che là giù cotanto costa". 21 Allor disse ’l maestro: "Non si franga lo tuo pensier da qui innanzi sovr’ello. Attendi ad altro, ed ei là si rimanga; 24 ch’io vidi lui a piè del ponticello mostrarti e minacciar forte col dito, e udi’ ’l nominar Geri del Bello. 27 Tu eri allor sì del tutto impedito sovra colui che già tenne Altaforte, che non guardasti in là, sì fu partito". 30 "O duca mio, la vïolenta morte che non li è vendicata ancor", diss’io, "per alcun che de l’onta sia consorte, 33 fece lui disdegnoso; ond’el sen gio sanza parlarmi, sì com’ïo estimo: e in ciò m’ ha el fatto a sé più pio". 36
Il Canto prosegue descrivendo la bolgia dei seminatori di discordie, nella quale Dante ha finora interagito con ben cinque dannati diversi. Tutta questa gente e l’orrore delle loro ferite (la pena sta proprio nel fatto che i diavoli fendono i loro corpi, come essi crearono divisioni e discordie tra le persone) hanno così “inebriato” (reso pieni di lacrime) gli occhi di Dante che egli stava quasi per scoppiare in pianto (l’interpretazione del verso è controversa.. pare comunque difficile che Dante stesse già piangendo, dopo il rimprovero di Virgilio di non impietosirsi per i dannati nella bolgia degli indovini).
Virgilio allora lo incita: (parafrasi) “Che guardi? Perché i tuoi occhi si soffermano ancora là giù tra l’ombre triste smozzicate? Eppure nelle altre bolge non hai fatto così.. che vuoi vedere tutte e ventidue le miglia di questo fossato? Non sai che la luna è ai nostri piedi (agli antipodi, quindi dev’essere circa un’ora dopo lo zenit perché la luna ritarda ogni giorno di circa 50 minuti sul sole, quindi sono le una del pomeriggio) e che ormai resta poco tempo per vedere tutto?”
Dante, incamminandosi, per la prima volta sembra un po’ risentito verso Virgilio e si giustifica dicendo che se il maestro avesse considerato la ragione per la quale egli si attardava, forse gli avrebbe concesso un po’ più di tempo. In effetti Dante ha ragione di credere che in quella bolgia si nascondesse un suo parente, ma Virgilio taglia corto perché anche questa volta aveva già capito la situazione: Dante non deve pensare a quel dannato, perché egli era sì presente, ai piedi del ponte, che guardava Dante e lo indicava minacciandolo col dito, inoltre Virgilio aveva anche sentito dire il suo nome, Geri del Bello. Questo era accaduto mentre Dante era tutto occupato verso colui che già tenne Altaforte (Bertran de Born, signore di Hautefort, incontrato a fine del canto precedente), così che egli non notò il suo parente e lui se ne andò. Dante sa dopotutto che Geri è disdegnoso (lo “sdegno” era l’ira giusta, quella mossa dalla ragione) perché la sua vïolenta morte non era ancora stata vendicata da nessuno della consorteria degli Alighieri, per questo egli se ne era andato senza profferire parola: ma ciò ha maggiormente impietosito Dante.
Dante credeva fermamente nel patto di sangue che lega le famiglie e, nonostante la deprecazione nel canto precedente del consiglio di Mosca dei Lamberti e sebbene non fosse particolarmente propenso verso la vendetta privata, ne riconosceva la legittimità (come facevano dopotutto gli statuti comunali dell’epoca). Forese Donati poi, in una delle terzine della tenzone poetica con Dante dove si accusano e ingiuriano a vicenda, rinfacciava a Dante vigliaccheria, conseguenza forse della perplessità di Dante circa il dovere della vendetta familiare.
Le notizie storiche non sono molte, ma pare che questo lontano zio (cugino del padre di Dante), fosse stato ucciso da un membro della famiglia Sacchetti verso il 1280: sono preziose le notizie date dai figli di Dante stesso, Jacopo e Pietro. Secondo Benvenuto da Imola ci sarebbe stata anche la vendetta vera e propria, ma solo verso il 1310 quando ormai erano passati trent’anni dalla morte dei Geri. Solo a molti anni dopo risale un documento pervenutoci di riappacificazione tra gli Alighieri e i Sacchetti (1342). Dante è come se accettasse questo rimprovero, ma non sembra provare sentimenti di colpevolezza: egli ha infatti pietà verso il congiunto ma non c’è nessuna traccia di rimorso personale.
[/bibl] Inferno – Canto ventinovesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ventinovesimo&oldid=38300987 (in data 18 novembre 2011).[/bibl].