Canto XXVIII Inferno – (vv 64-90) – Pier da Medicina

Testo e commento del Canto XXVIII dell’Inferno (versi 64-90)-Pier da Medicina

Un altro, che forata avea la gola
e tronco ’l naso infin sotto le ciglia,
e non avea mai ch’una orecchia sola, 66

ristato a riguardar per maraviglia
con li altri, innanzi a li altri aprì la canna,
ch’era di fuor d’ogne parte vermiglia, 69

e disse: "O tu cui colpa non condanna
e cu’ io vidi in su terra latina,
se troppa simiglianza non m’inganna, 72

rimembriti di Pier da Medicina,
se mai torni a veder lo dolce piano
che da Vercelli a Marcabò dichina. 75

E fa sapere a’ due miglior da Fano,
a messer Guido e anco ad Angiolello,
che, se l’antiveder qui non è vano, 78

gittati saran fuor di lor vasello
e mazzerati presso a la Cattolica
per tradimento d’un tiranno fello. 81

Tra l’isola di Cipri e di Maiolica
non vide mai sì gran fallo Nettuno,
non da pirate, non da gente argolica. 84

Quel traditor che vede pur con l’uno,
e tien la terra che tale qui meco
vorrebbe di vedere esser digiuno, 87

farà venirli a parlamento seco;
poi farà sì, ch’al vento di Focara
non sarà lor mestier voto né preco". 90


Questo canto è tra i più affollati di dannati, che si alternano l’uno dopo l’altro con stili e sentimenti diversi. Dopo la plebea ridicolizzazione di Maometto si presenta a Dante un dannato con un buco nella gola dal quale zampilla orrendamente sangue quando parla; egli ha il naso tagliato fino agli occhi e un orecchio solo; dopo essersi arrestato per maraviglia, è il primo a prendere la parola (si fa per dire, visto la sua canna aperta) dopo l’uscita di scena dell’altro.
Dice rivolgendosi a Dante pregandolo, con un tono piuttosto aulico, che se è quello che conobbe in vita in Italia, che si ricordi di lui, Pier da Medicina, se mai tornasse a vedere “lo dolce piano / che da Vercelli a Marcabò dichina”. Per Vercelli non si deve indicare la città piemontese, ma l’antico nome di Voghenza in provincia di Ferrara. Questa rievocazione del dolce mondo dei vivi è assieme a quella di Francesca da Rimini, tra le più struggenti.
Anche Piero ha un messaggio da riferire ai vivi: di dire ai due migliori di Fano, Guido del Cassero e Angiolello da Carignano, che, se la facoltà di previsione dei dannati non è vana, saranno gettati in mare dal loro vascello tramite “mazzeratura” (in una sacco chiuso pieno di pietre) presso Cattolica, per il tradimento di un bieco tiranno (Malatestino da Rimini, citato indirettamente nel Canto XXVII a proposito della situazione della Romagna), un’azione tanto malvagia come non ne vide mai, tra Cipro e Maiorca (cioè nel Mar Mediterraneo) Nettuno, né per conto dei pirati, né dei greci (i proverbialmente crudeli argolici).
Quel tiranno traditore, che vede con un occhio solo (era infatti detto il Guercio) e che tiene Rimini, terra che questo dannato accanto a me (Curione, descritto nei successivi versi) vorrebbe non aver mai visto, li chiamerà (Guido e Angiolello) a far parlamento e poi farà così che ed essi non sarà necessario pregare o far voto per passare il vento di Focara (cioè essi saranno già morti quando la nave passerà da Focara, sede di proverbiali tempeste).
La mancanza di una qualsiasi fonte d’archivio sull’accaduto ha fatto pensare ad alcuni commentatori addirittura che qui Piero volesse perpetrare il suo peccato di seminatore di discordie mettendo zizzania tra i due di Fano e il signore di Rimini, anche se la precisione del racconto dantesco ha più un sapore di rivelazione e trattandosi di un fatto grave può darsi che, come in altri casi, la potenza dell’interessato abbia insabbiato qualsiasi menzione in documenti.

[bibl] Inferno – Canto ventottesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ventottesimo&oldid=40069361 (in data 17 novembre 2011).[/bibl].

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