Non son chi fui, perì di noi gran parte

Introduzione

Si tratta di un sonetto composto dal Foscolo in giovane età: apre, nel “Nuovo Giornale dei Letterati”, la serie degli otto sonetti, seguìto immediatamente da “Che stai? già il secol l’orma ultima lascia”. È stato sicuramente scritto prima del 1802, poiché la pubblicazione della prima edizione dei sonetti (nel Nuovo Giornale dei Letterati) risale a quell’anno.

E’ dominato da un senso di totale disillusione verso se stesso: soffocato da passioni e impeti biasimevoli (“fame d’oro”)che il raziocinio del poeta non è riuscito a controllare, l’io foscoliano sembra essersi smarrito. Il suicidio è tenuto lontano soltanto grazie al “furor di gloria” e alla “carità di figlio” (amore filiale) mescolati a pietà di sè.

Testo

Non son chi fui; perì di noi gran parte:
questo che avanza è sol languore e pianto.
E secco è il mirto, e son le foglie sparte
del lauro, speme al giovenil mio canto.

Perché dal dì ch’empia licenza e Marte
vestivan me del lor sanguineo manto,
cieca è la mente e guasto il core, ed arte
la fame d’oro, arte in me fatta, e vanto.

Che se pur sorge di morir consiglio,
a mia fiera ragion chiudon le porte
furor di gloria, e carità di figlio.

Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte,
conosco il meglio ed al peggior mi appiglio,
e so invocare e non darmi la morte.

Metrica

Il verso sembra scolpito a forti chiaro scuri, anche in virtù della ricorrente misura a minore dell’endecasillabo ( quinario più settenario, con il verso 10 come eccezione) che ne costringe la musicalità: la frena dopo poche battute, e poi la libera sino alla pausa marcata di fine verso (rarissimo l’enjambemant). Il sonetto presenta lo schema: ABAB, ABAB, CDC, DCD.

Analisi e commento

vv.1-2. Non […] pianto: la massima è tratta dalle Elegie, I, 1-2 di Massimiano: “Non sum qui fueram: perit pars maxima nostri;/ hoc quoque quod superest languor et horror habet”; ma può anche essere ripreso dal Petrarca: “lassai di me la miglior parte a dietro” (XXXVII, 52) “quand’era in parte altr’uom da quel ch’io sono” (I,4).

v.2.questo che avanza: stilema del Petrarca (“questo m’avanza di cotanta speme”, CCLXVIII,3).

vv.3-4.E […] canto:ormai estinto è l’amore( perchè il mirto è la pianta sacra a Venere) e caduto ogni sogno di gloria poetica.

v.5. empia licenza: riferito alla violenza rivoluzionaria sulla scorta della dedica al fratello Gian-Dionigi dell’ode “Ai novelli repubblicani” del 1797.

vv.7-8. arte […] vanto: il desiderio di ricchezze, di cui meno vanto, divenne in me arte, poiché vanto deve riferirsi alla fame d’oro, piuttosto che arte.

v.9. Che […] consiglio: se pure si fa strada un proposito di suicidio.

v.10. fiera ragion: proposito terribile, spaventoso. chiudon le porte: espressione figurata, discendente da Dante (Paradiso, III, 43 “La nostra carità non serra porte”).

vv.12-14. Tal […] morte: così, vittima di me stesso, e del prossimo, e della sventura, pur riconoscendo ciò che è bene, non so trattenermi dal cedere al partito peggiore; ho il coraggio di desiderare ardentemente la morte, ma poi mi manca la forza di procurarmela davvero.

v.13. conosco […] appiglio: ripresa dal Petrarca “chè co’ la morte a lato/ cerco del viver mio novo consiglio, / et veggio ‘l meglio, et al peggior m’appiglio (CCLXIV).

v.14. e[…]morte: “qui mille volte al dì la morte invoco”, Costanzo, Stanze, II, 14, 5.

Non son chi fui, perì di noi gran parte, http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Non_son_chi_fui,_per%C3%AC_di_noi_gran_parte&oldid=29051036 (in data 9 gennaio 2010).
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