Canto III Inferno – (vv 130-136) – Dante: terremoto e svenimento

Testo e commento del Canto III dell’Inferno (versi 130-136) – Terremoto e svenimento di Dante

Finito questo, la buia campagna
tremò sì forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna. 132

La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento; 135

e caddi come l’uom cui sonno piglia.


Virgilio ha appena finito di parlare quando la terra buia trema, ma così forte che solo a ripensarci al Dante-narratore si bagna ancora la fronte di sudore.
Dalla terra imbevuta di lacrime fuoriescono sbuffi di vapore e un fulmine rosso balena nell’aria: ciò vince ogni senso in Dante ed egli sviene come uomo che cade nel sonno. Secondo Aristotele e la scienza a lui contemporanea si riteneva infatti che i terremoti erano causati da forti correnti di vento presenti nel sottosuolo, i quali, dilatati dalle fonti di calore non trovassero via d’uscita verso l’alto e l’esterno. Inoltre questi fatti hanno una riconducibilità alla Scrittura, dove molto spesso il verificarsi di fenomeni naturali quali terremoti, venti, lampi e tuoni erano dovuti alla discesa di Dio che irrompeva nella storia
All’inizio del prossimo canto Dante rinverrà al rumore del tuono di quello stesso lampo e si troverà in maniera sovrannaturale dall’altra parte del fiume: quest’espediente gli permette di passare l’Acheronte senza essere un dannato e mostra come Dante ammetta di tanto in tanto elementi sovrannaturali nel suo viaggio; essi sono dopotutto espressione del volere divino, che, vedremo spesso, nel regno dell’oltretomba spesso contravviene a suo piacimento a quelle leggi naturali che esso stesso ha posto nel mondo dei vivi.

[bibl]Inferno – Canto terzo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_terzo&oldid=44047539 (in data 5 novembre 2011).[/bibl]

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