La questione meridionale
La “questione meridionale” esplose subito dopo la conquista dell’unità. Con questa espressione Gramsci indicò quella situazione di svantaggio economico, politico e sociale propria del Mezzogiorno.
Infatti, se il nord aveva conosciuto i liberi comuni, il sud era rimasto legato alla società borbonica , se nel nord si sviluppavano traffici e manifatture, nel sud dominava il latifondo; inoltre i poveri contadini meridionali avevano visto sfumare le speranze di riscatto sociale nutrite in occasione della spedizione garibaldina con una sperata assegnazione di terre.
Per i contadini del sud lo stato italiano rappresentava solo un nuovo cumulo di imposizioni: fra queste vi erano l’obbligo del servizio militare che toglieva braccia preziose al lavoro nei campi e la tassa sul macinato che gravava pesantemente sui contadini. Il forte malcontento popolare si scatenò con il fenomeno del brigantaggio, alimentato anche da gruppi filoborbonici, che si risolvette in una vera e propria guerra civile che vide lo scontro fra l’esercito italiano e le bande di contadini ribelli.
Nel 1863, con la legge Pica, il Parlamento approvava misure eccezionali come l’istituzione di tribunali militari e la fucilazione immediata dei “ribelli” armati.
La classe dirigente italiana pur conoscendo la reale situazione del Meridione (inchiesta Massari, Fortunato) non prese provvedimenti volti a far fronte all’arretratezza economica del Mezzogiorno quali potevano essere la diminuzione della pressione tributaria, l’intervento in opere di bonifica e di rimboschimento, la costruzione di acquedotti, la frammentazione del latifondo, la difesa della piccola proprietà contadina, il favorire le industri locali e una maggior sensibilizzazione alle leggi di stato ridando prestigio alla magistratura.
La situazione si aggravò ancor di più con le leggi protezionistiche di Depretis e Crispi che danneggiarono l’esportazione di prodotti agricoli destinati all’estero.
Durante il fascismo la “questione meridionale” divenne argomento vietato e solo nel 1951 con De Gasperi furono presi alcuni provvedimenti quali il varo di una riforma agraria che spezzò il latifondo e la costituzione della Cassa per il Mezzogiorno che non portò comunque a risultati sperati in quanto il denaro fu utilizzato per la costruzione di grandi opere industriali che non avevano indotto, le “cattedrali del deserto” e per assistenza sociale.